Album di famiglia di Tindaro Granata
Tutto nasce dal desiderio, coltivato fin da giovane, di andar via dalla sua terra e trasferirsi a Roma, per realizzare il sogno di sempre: diventare attore. E reagire, con tutta l’irruenza giovanile, all’ancestrale rassegnazione di “chi nasce ricco, muore ricco; chi nasce povero, muore povero”, tramandata dai suoi nonni.
Il titolo “Antropolaroid”, testo vincitore del Premio della Critica e altri riconoscimenti che hanno portato Tindaro Granata alla recente ribalta della scena teatrale, fonde insieme la ricerca antropologica con lo scatto fotografico, la memoria trattenuta nell’immagine del racconto tramandato, vissuto.
Autore e unico interprete l’attore messinese condensa magistralmente tutto il suo piccolo, grande mondo nelle movenze del corpo, nella voce cangiante dei toni, nel trasformismo mimico e gestuale, nei veloci risvolti di un semplice maglioncino, attingendo dal suo vissuto, dalla sua storia personale, dalla sua famiglia, dalle sue radici. La Sicilia. Serbatoio inesauribile di storie che necessitano di essere raccontate. E non importa se recano vicende dolorose o risibili, se rivelano segreti inconfessabili o eventi noti, se le parole sono comprensibili o impronunciabili. Quelle in dialetto che affollano lo spettacolo “Antropolaroid” intrecciano dialoghi e azioni con camaleontiche metamorfosi che avvengono sotto il nostro sguardo quasi senza accorgercene.
Anche se sul palco spoglio di qualsiasi artificio gli basta la classica sedia e un lenzuolo, il suo stare in scena è presenza vibrante che non rientra solo in quel filone di “teatro di narrazione” ormai visto e ascoltato, spesso noioso e pretenzioso. Tindaro, con ritmo avvolgente, aggiunge un modo di raccontare diverso, una scrittura vivace. Attingendo dalla tradizione orale del “cunto” rielabora a suo modo schegge di memoria tramandata dai racconti dei suoi nonni. Egli riscrive e reinterpreta il passato della sua famiglia – 70 anni di storia, fino ad oggi – con umanissima passione partendo dal buio, facendoci ascoltare il soffio che esce dal corpo appeso a una corda, per evocare un fatto tragico: il suicidio del bisnonno, nel 1925, dopo aver scoperto di essere afflitto da un male incurabile.
Da qui inizia una carrellata di personaggi reali, buffi, goffi, tragici, un album di famiglia tra storie di mafia (con un certo Tano Badalamenti di cui udremo anche la voce registrata durante un processo), d’amore, di “fuitina”, di emigrazione, di violenza, di quotidianità tra giochi, balli, paure, relazioni familiari. Si trasforma in bambino farfugliante, in comare chiaccherona, in uomo d’onore, in vecchia, in giovane innamorata, in marito maschilista, in madre remissiva, in figlio adulto, in padre severo, anche se alcuni personaggi risentono di qualche forzatura e alcuni snodi drammaturgici sono ancora irrisolti (l’iniziazione mafiosa del nonno compiuta con un delitto risulta troppo enfatica sulla canzone a tutto volume “Magnificat” di Mina).
Il trasformismo di Granata è abilità interpretativa, talento recitativo, naturalezza fisica; la sua immedesimazione è assunzione di esistenze concrete, duttilità al suono e ai gesti degli altri. “Ho voluto raccontare – spiega Tindaro – una storia nella quale il male si perpetra sempre, come un’eredità misteriosa tramandata di padre in figlio, un male che si presenta ad ogni nascita e ad ogni morte”.
“Antropolaroid”, di e con Tindaro Granata, spettacolo in dialetto siciliano, antico e moderno, rielaborazioni musicali Daniele D’angelo, luci e suoni Matteo Crespi. Produzione Proxima Res.Al Teatro dell’Orologio di Roma, fino all’11/1 nell'ambito della stagione congiunta Dominio pubblico. In tournée.