Alberto Sed, testimone dei lager
Dopo essere stato all’inferno, Dante, ancora sconvolto per quanto aveva visto, alza di nuovo gli occhi al cielo. «E quindi uscimmo a riveder le stelle». Alberto Sed torna «a riveder le stelle» il 7 settembre 1945, dopo essere stato liberato nell’aprile dello stesso anno dagli americani nel campo di concentramento di Nordhausen. Era entrato nell’inferno a 16 anni, il 16 maggio 1944, su un treno che lo portava ad Auschwitz. «L’inferno che ho visto fa impallidire quello di Dante».
Era un bambino di 10 anni quando nel 1938 furono promulgati dallo Stato fascista i primi provvedimenti delle leggi razziali. Per lui, come per tanti altri, tutto cambiò. «Non ero più un bambino, ero diventato un ebreo». Quando arriverà ad Auschwitz, sarà tatuato sul braccio con il numero A-5491. Sua madre e una sorella non passeranno la selezione e saranno subito ammazzate nella camera a gas. Una sorella riuscì a ritornare, come lui, ma con i ricordi degli esperimenti del dottor Mengele stampati nella memoria e nel corpo. Un’altra sorella nell’inferno era morta, sbranata dai cani delle SS. Che nelle bolge di Auschwitz ogni tanto intimavano ai prigionieri di lanciare i bambini in aria per esercitarsi nel tiro a segno. «Amo immensamente i bambini, ma non sono più riuscito a prenderne uno in braccio. Se solo accenno al gesto, mi assale la paura che qualcuno mi gridi di lanciarlo».
Ritornato a Roma, Alberto per tanti anni aveva deciso di non parlare. Si era chiuso con quell’orrore nel petto. Non trovava le parole. Poi cominciò a raccontare. Raccontò quello che aveva vissuto sulla sua pelle e quello che aveva visto. Il 2 novembre la sua voce si è spenta. Aveva quasi 91 anni. Ora lui guarda le stelle, dall’alto. Forse lo faceva già in vita, e questo era il segreto del sorriso sulle sue labbra. Segno che tutto il dolore che aveva provato non aveva ucciso in lui la voglia di celebrare la vita. I testimoni dell’orrore dei lager nazisti, un po’ alla volta ci stanno lasciando. Continuano invece a rimanere ben vive e vegete fra di noi persone che si dedicano a coltivare i semi del male. È un gioco pericoloso. Inizia con discorsi e gesti di intolleranza, ma rischia di agitare forze che non si riescono più a controllare. La storia lo insegna. Ricordarla e imparare la sua lezione continua a essere quanto mai attuale.