Al via lo sperato e temuto confronto con il rientro a scuola
Oggi, 14 settembre 2020. Sta per iniziare in buona parte d’Italia lo “storico” anno scolastico 2020-2021 ed è arrivato quindi, per tante regioni, il momento del confronto con il rientro a scuola. A giudicare dalla concitazione della preparazione, dai toni allarmanti, dagli accenti e dalle polemiche sui materiali e sulla logistica, dalla attenta predisposizione degli spazi e dai piani di gestione delle possibili emergenze, sembra di stare assistendo alla meticolosa e ansiogena preparazione ad un lungo assedio. O perfino a una guerra.
Ma a che punto siamo? L’organizzazione è partita, non si può negare, e a tutti i livelli: ministeriali, regionali, comunali. I dirigenti scolastici hanno svolto un lavoro immane in questi ultimi mesi, in una totale situazione di incertezza sui trend ipotizzabili.
Tuttavia, i punti ancora non chiari o deboli sono parecchi. Le emergenze che stanno affrontando le scuole in questo momento riguardano (e riguarderanno forse per settimane) innanzitutto gli spazi. In tanti casi, gli enti locali non hanno ancora consegnato alle scuole gli spazi aggiuntivi richiesti, necessari per il distanziamento degli alunni.
Per un po’ di tempo, occorrerà pertanto approntare soluzioni organizzative complesse per sdoppiare le classi: per esempio, con lezioni tenute sia mattina che pomeriggio a gruppi di 13-14 alunni; oppure, adibire ad aule per le lezioni corridoi, palestre, auditorium, laboratori di ogni tipo, all’interno della scuola; oppure, svolgere le lezioni, contemporaneamente, per una parte della classe in presenza e per l’altra mezza, collegata in remoto, con strumenti digitali. Con le ricadute che tutto questo potrà prevedibilmente comportare per la qualità della didattica stessa e del processo di apprendimento degli studenti.
Ma le questioni “spinose” sono diverse. A parte la questione dei banchi monoposto (con tutta l’ironia che si è fatta soprattutto sulla questione delle rotelle), c’è il problema delle mascherine. Le raccomandazioni comunicate dal Cts (Comitato tecnico scientifico) prevedono che, sia nella scuola primaria che nella secondaria, la mascherina chirurgica possa essere tolta, ma questo vale solo se: a) sono rispettate le misure di distanziamento fisico (almeno un metro) fra i presenti nella classe; b) se si è in condizione di staticità (quindi si dovrà rimettere se ci si muove nell’aula) e c) se le attività previste non prevedono possibile aerosolizzazione della saliva (come può avvenire nelle attività di canto, per esempio).
Il punto è che almeno 50 mila studenti italiani la mascherina rischieranno di non poterla togliere neanche per un minuto, in quanto si troveranno a lavorare in spazi molto ristretti che non consentono il distanziamento necessario. Ci si chiede allora come sarà possibile, in attesa degli spazi aggiuntivi consegnati dagli enti locali alle scuole, che gli alunni gestiscano il peso di una mascherina indossata per 5 o 6 ore al giorno di lezione per intere settimane se non per mesi. E non è detto che tali mascherine ci siano concretamente. Tanti dirigenti scolastici lamentano o che le mascherine non sono ancora arrivate o che quelle arrivate sono sufficienti a coprire non più di una settimana di lezioni.
Problema non da meno è quello del reperimento rapido dei supplenti (circa 70 mila) che dovranno coprire le classi sdoppiate e gli insegnanti impediti dall’emergenza Covid in Italia.
Oggetto di forti polemiche è stata poi la decisione del Ministero dell’Istruzione di affidare alle famiglie la misurazione della temperatura dei figli, prima di andare a scuola. Decisione che molti esperti considerano sbagliata e rischiosa, in quanto tale rilevazione si presta ad una serie di errori, a cominciare da quelli legati alla scelta del tipo di termometro da utilizzare e alla sua taratura.
Di fronte alle tante e complesse difficoltà da affrontare, molte scuole che avevano deciso la riapertura per il 14, hanno deliberato proprio in questi ultimi giorni, attraverso i consigli di istituto, di rinviare l’apertura al 24 settembre (termine ultimo a livello nazionale). Con le conseguenze che sono immaginabili per tanti genitori, che in questo ultimo week-end si sono trovati a dover tirar fuori improvvisamente dal cappello a cilindro soluzioni rapide su dove e a chi lasciare i loro figli mentre loro saranno al lavoro nei prossimi giorni.
Tutta questa attenzione al problema di prevenzione del contagio è non solo comprensibile ma sacrosanta. Tuttavia, bisognerà stare molto attenti a evitare che le giuste preoccupazioni per la sicurezza (se mal trasmesse) non creino ulteriore insicurezza negli studenti e che gli accenti posti su questo aspetto non oscurino (e non distraggano da) altre dimensioni fondamentali di questo rientro a scuola, come quelle socioemotive.
I ragazzi quest’anno non tornano a scuola dalle vacanze estive, come è sempre stato finora, ma da un lungo periodo di assenza forzata, dalla scuola e dal contatto quotidiano con i loro compagni. Non si potrà e non si dovrà pertanto ridurre tutta la questione del rientro nell’angusta ottica della dimensione prevalentemente sanitaria.
La scuola dovrà insomma, immediatamente a partire dalla riapertura, entrare particolarmente in risonanza con le emozioni dei suoi studenti. Mai come in questo momento rientro, in cui le scuole sono sollecitate da più, e spesso contraddittorie, direzioni.
Serviranno ascolto attivo, empatia, atteggiamento di cura, una maggiore vicinanza affettiva a compensazione della vicinanza fisica negata nei mesi scorsi, narrazioni adeguate: atteggiamenti e approcci attraverso cui aiutare gli alunni a rielaborare i loro vissuti relativi alla situazione che hanno subito per mesi. Vissuti (anche per situazioni familiari o per lutti) che non sono stati facili per molti di loro.
Perché emozioni e stati affettivi, certe emozioni e certi stati affettivi, in quanto a potenza, a conseguenze debilitanti e a capacità di contagio, non sono affatto da meno di un virus.