Al via la festa del cinema di Roma
Alla fine, per l’undicesima edizione, si sono decisi. Non più festival, ma festa. Termine adatto per Roma, una città (o un insieme di “paesoni” come qualche celebre attore la definisce?) che di cinema vive da decenni e che del cinema ha fatto, a suo tempo, la storia. Festa anche perché i romani hanno ‒ o avevano? – un carattere festaiolo, libero e liberante sin dai tempi dei Cesari e poi dei papi-re.
L’edizione attuale, diretta da Piera Detassis e guidata dal direttore artistico, per il secondo anno, Antonio Monda, non ha voluto concorsi né sfilate, ma una grande varietà di momenti: niente anteprime, il premio deciso solo dal pubblico, incontri con star come Tom Hanks, Meryl Streep, Viggo Mortensen e i nostri Bertolucci, Arbore, Jovanotti, Paolo Conte. Una infinità di film (44 nella selezione ufficiale, da 26 paesi), sezioni all’avanguardia come Alice in città (26 film) – non più e non solo per ragazzi -, installazioni come quella di Mathias Brunner, 28 appuntamenti tra eventi speciali, retrospettive e documentari, mostre fotografiche, quella del regista Luigi Comencini, e il gran finale il 23 con Roberto Benigni. Proiezioni un po’ovunque: al Parco della musica, ma anche al carcere di Rebibbia, alla scuola Di Donato, ad Ostia e in giro per la città a conquistare la grande kermesse popolare, giovanile soprattutto.
Cinema, dunque. Vediamo i primi film.
S’è cominciato con l’anteprima di In guerra per amore di Pif. Che non ha deluso, anzi ‒ al contrario di quanto spesso succede con le opere seconde ‒ ha confermato il talento del regista-attore. Un film intelligente, sulla scorta delle migliori commedie italiane ‒ degli Scola e dei Comencini per intenderci – che evita le cadute di stile e di gusto di troppi prodotti attuali ed affronta con misura un pezzo di storia italiana, ossia lo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943. Inventa la vicenda dell’ingenuo Arturo (Pif), cameriere a New York, innamorato ricambiato, ma di nascosto, della bella Flora (Myriam Leone), nipote del proprietario del locale dove lavora e promessa sposa al figlio di un boss. Arturo per sposarla deve ottenere il sì del padre, che vive in Sicilia. L’ingenuo si arruola e sbarca nell’isola (scena esilarante: arriva issato su una gru a cavallo di un asinello). Gli americani incontrano il boss mafioso del paesello che li fa entrare senza colpo ferire. E qui la storiella amorosa si intreccia con il contatto alleati-mafia – storicamente documentato, anche se se ne parla troppo poco ‒, le cui conseguenze, secondo Pif, dureranno almeno fino agli anni Settanta.
Come ha fatto nel suo primo film La mafia uccide anche d’estate ‒ di cui l’attuale potrebbe essere il prequel ‒ l’autore parla della storia con fine ironia, alleggerendola con personaggi spiazzanti ‒ la coppia del cieco e dello zoppo, malinconicamente vera ‒, la sposa in attesa del marito col figlio che crede al volo degli asini ‒, il nonno che prega il duce ma poi lo butta a testa in giù (piazzale Loreto…), il mafioso Lucky Luciano corteggiato dallo spionaggio americano in carcere, e così via. Girato con dispendio di mezzi ‒ le scene dell’arrivo degli alleati, i bombardamenti –, attento ai dettagli, fotografato lucidamente e con una musica melodica di gusto, il racconto della storia (fino ai comizi pro Dc dei sindaci mafiosi) si interseca con la piccola storia personale di Arturo che ritrova il padre della sposa, aiutato dal tenente Andrea Di Stefano. Si piange, c’è la tragedia, Pif fa intravedere cosa è stata davvero la “liberazione” in terra sicula, e si sorride alle avventure dell’incantato cameriere. Come andrà a finire? Questo non lo diciamo. Ma il film è bello, equilibrato, dice tante cose con un velo di tristezza sorridente che fa pensare. Siamo sulla buona strada della vera commedia all’italiana.
C’è poi il fenomeno Inferno, presentato in anteprima mondiale a Firenze con tanto di presidente del Consiglio, diretto da Ron Howard e interpretato dalla star Tom Hanks. Splendide sequenze “turistiche” di Firenze, Venezia, e Istanbul: nulla da ridire, Howard ci sa fare, eccome. E poi azione nel thriller più o meno psicologico, più o meno simbolista con l’Inferno dantesco che appare nelle allucinazioni del povero Hanks, lottando contro un pazzo che vuole salvare il mondo, seminando una pestilenza che ne dimezzi il numero di abitanti: siamo troppi, infatti!.
Fughe, inseguimenti, ammazzatine e arte ‒ la sala dei Cinquecento e il Vasari, i giardini di Boboli e il Battistero, san Marco e santa Sofia e addirittura un calco del viso di Dante appena spirato…Gli americani di fantasia (e di ingenuità) ne hanno da vendere. Niente paura: lo spettacolo è assicurato ed è ben fatto. Ma forse se n’è fatto troppo rumore….
E infine eccoci a Moonlight, film di apertura, diretto da Barry Jenkins, nato a Miami. Il ragazzo Chiron vive in un quartiere disagiato, la mamma si fa, i compagni lo picchiano. Il racconto segue le tappe della sua formazione alla vita, tra scuola, carcere, vendita di droga e ricerca di affetti. Timido e sensibile, il ragazzo-uomo cresce, diventa forte, ma dentro resta un fanciullo bisognoso di amore, in particolare verso il suo miglior amico. Neorealismo, riflessione e uno sguardo vero sul disagio giovanile. Tema trattato spesso dal cinema, qui tuttavia con una certa delicatezza di sfumature.