Al vertice delle Americhe c’è stato più che un pareggio

Il vertice di Panama si é concluso e con esso sono stati archiviati numerosi decenni di storia. Per un momento si é riusciti ad andare al di la degli steccati e a guardarsi negli occhi. Forse per questo Raúl Castro ha esitato a definire “onesto” Barack Obama e questi ha potuto affermare: «Non vogliamo essere prigionieri dell’ideologia».
Stretta di mano tra Raul Castro e Barack Obama

C’é chi dice che il VII vertice delle Americhe si é concluso con un pareggio: 33 a 2. L’allusione é all’assenza di un documento finale, quello che i 33 ministri degli esteri avevano giá preparato ed al quale gli Stati Uniti ed il Canada, suo fedele alleato, non hanno accettato, il che ha impedito, seguendo i meccanismi di funzionamento della Organizzazione degli Stati Americani (OEA), di approvare il testo. E’ pur vero, peró, che pretendere che la cultura anglosassone e fortemente liberista degli USA possa accettare a pie pari e da un giorno all’altro di introdurre in un documento ufficiale l’idea della salute come diritto umano ed il trasferimento di tecnologie negli scambi commerciali pare un pó troppo per un vertice che, nonostante l’assenza di un documento che ne riassuma i contenuti, lo si puó considerare come storico. Per molto meno, il presidente Barack Obama, durante il dibattito sulla sua riforma del sistema sanitaria venne classificato come “comunista” dai suoi avversari repubblicani.

 

Ed invece questo vertice non ha tradito le attese. Senza celare a nessuno che esistono forti differenze ideologiche, chi piú chi meno, i leaders del continente riuniti a Panama City, sono sostanzialmente riusciti a voltare pagina e ad aprire un nuovo capitolo della storia. Alle parole di apertura pronunciate da Obama, hanno fatto seguito quelle del cubano Raúl Castro, il co-protagonista della storica foto – la stretta di mano tra i due presidenti- che sancisce la definitiva archiviazione della Guerra Fredda. Castro é andato al di la delle fredda correttezza diplomatica: da un lato non ha risparmiato una sola accusa di responsabilitá politica agli Stati Uniti al rispercorrere gli ultimi 50 anni nei quali Cuba é rimasta al margine dell’Organizzazione degli Stati Americani, dall’altro ha chiesto scusa immediatamente per la veemenza e la passione nelle sue parole ed ha esonerato Obama da ogni responsabilitá nei confronti del passato. Senza indugi lo ha definito “onesto” ed ha dichiarato che questi non ha nessun debito col suo Paese.

 

Obama ha trovato il tempo anche per cercare di smussare gli angoli nei rapporti col Venezuela. Ha prima fatto chiarire a un suo portavoce che gli Usa non considerano il Venezuela una minaccia alla propia sicurezza, per poi sottolineare personalmente al presidente Nicolás Maduro lo stesso concetto durante una riunione bilaterale nel corso del vertice.

 

Le reazioni statunitensi ai discorsi, abbastanza piú belligeranti sul pìano concettuale dei presidenti della Bolivia, dell’Ecuador, dell’Argentina e del Venezuela sono state caute e non hanno aggiunto altra legna al fuoco. Si sapeva che ciascuno avrebbe colto l’occasione per prendere ancora una volta posizione. Il gesto piú importante era giá stato realizzato, ora bisognava essere coerenti col ruolo “inter pares” che Washington ha deciso di giocare nella regione, cosciente che insieme al capitolo della Guerra Fredda, anche i tempi dell’America Latina quale “cortile sul retro” sono stati anch’essi consegnati agli archiviatori, cominciando dal tollerare che gli Usa siano trattati con reciprocitá nell’ambito collettivo e bilaterale.

 

Lo si é notato nell’invito alla presidente brasiliana, Dilma Rousseff, a rimettere in agenda la visita agli Stati Uniti, che questa sospese indignata nell’ottobre del 2013 quando il caso Snowden fece emergere che erano state spiate dalla National Security Agency le sue comuncazioni e quelle del suo gabinetto. Dilma ha accettato di buon grado mettere una pietra sopra l’episodio, ma riferendosi ai prigionieri politici in Venezuela, ha chiarito senza esitare che non é solita opinare sulle questioni interne degli altri Paesi e  che tali arresti lo sono come lo é la questione dei prigionieri Usa nella base di Guantánamo.

 

Siamo pertanto davanti a qualcosa di piú di un pareggio. In realtá tutti hanno da vincere ridimensionando le questioni ideologiche di fronte alle sfide che suppone la lotta contro i maggiori problemi che affligono la regione: primo fra tutti l’altrissimo livello di diseguaglianza sociale e le emergenze del cambiamento climatico. In questo senso, che non si sia giunti a un documento finale non é poi cosí importante: il processo di integrazione latinoamericana é zeppo di proclami finali e di progetti che poi non hanno preso forma. Forse lavorando di piú assieme si potrá scorpire che, anche sul piano delle idee, si é molto piú vicini di quanto di suppone.

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