Al-Sisi, il presidente annunciato

Vittoria certa del generale già a capo del Paese, dopo che i principali oppositori sono stati tutti eliminati. Come valutare obiettivamente una democrazia-non-democrazia?
ANSA/AP Photo/Nariman El-Mofty

Il 7 marzo scorso, parlando delle imminenti elezioni presidenziali in Egitto (26-28 marzo 2018), l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr), Zeid Ra’ad al-Hussein, era andato giù abbastanza pesante. L’esponente Onu aveva infatti denunciato il clima di intimidazione presente in Egitto con potenziali candidati alla presidenza del Paese costretti al ritiro ed alcuni perfino arrestati. I fatti a cui si riferiva si possono riassumere passando in rassegna le vicende relative ai principali candidati alla presidenza che nei mesi scorsi si sono via via ritirati dalla competizione elettorale lasciando l’attuale presidente Abd al-Fattah al-Sisi come candidato (quasi) unico per un secondo mandato di quattro anni alla presidenza del Paese dei faraoni.

Intanto va detto che secondo la legge elettorale egiziana che regola la presentazione dei candidati alla presidenza, promulgata dallo stesso al-Sisi, ogni candidatura ha bisogno, per essere accettata, delle firme di almeno 20 deputati in carica oppure di 25 mila elettori distribuiti in almeno 15 dei 27 governatorati che compongono il Paese, con un minimo di mille sostenitori in ciascuno di essi.

al-Sisi si è presentato con 500 firme di deputati (su 596 che compongono il parlamento egiziano) e 12 mila firme di elettori. Un’indicazione decisamente esplicita sull’orientamento elettorale “auspicato” dal potere che controlla lo Stato egiziano dopo la destituzione di Mohamed Morsi nel luglio 2013 e la cacciata dei Fratelli musulmani che lo sostenevano.

I numerosi competitors potenziali di Al-Sisi sono stati tutti “legalmente” estromessi prima ancora che potessero iscriversi nella lista dei candidati. Dopo l’annuncio dell’intenzione di presentarsi alla competizione: l’ex generale Ahmed Shafiq è stato misteriosamente espulso da Abu Dhabi, dove viveva da 6 anni, e dopo qualche giorno è ricomparso al Cairo per annunciare la sua rinuncia; l’ex capo di stato maggiore Sami Hafez Anan è stato arrestato perché la legge non consente ai militari in servizio di candidarsi, e la sua domanda di essere dimesso dalle forze armate non era stata ancora formalizzata; il collaboratore di Anan, il generale Hisham Geneana, è stato addirittura aggredito per strada da ignoti; il deputato Mohamed Anwar Sadat, nipote dell’ex presidente ucciso nel 1981, è stato accusato di aver rivelato progetti riservati ad alcune ambasciate straniere, e quindi espulso dal parlamento; eccetera, sulla stessa linea, per diversi altri. In questo modo, alla data di scadenza per la presentazione delle candidature, a fine gennaio, era rimasto un solo candidato riconosciuto: Al-Sisi.

Senonché, per usare un linguaggio volutamente ironico, alcuni illustri esponenti della cultura hanno fatto notare che una competizione elettorale con un solo candidato non è molto democratica, e caso mai si chiama referendum e non elezione. Così, circa 10 minuti prima della scadenza dei termini è improvvisamente comparso il “secondo” candidato, che avrebbe presentato ben 47 mila firme di sostegno (nessuno sa come abbia fatto a raccoglierle in pochi giorni). Si tratta di Moussa Mostafa Moussa, leader del partito centrista Ghad, un piccolo partito travagliato che da alcuni anni sostiene esplicitamente al-Sisi.

Praticamente la competizione elettorale consisterà nel registrare l’affluenza alle urne, perché si può facilmente prevedere che il candidato “quasi” unico supererà comunque il 90% dei consensi fra i votanti. Se il Paese lo appoggia o meno lo si potrà dedurre solo dal numero dei votanti, o meglio da quanti fra i circa 60 milioni di aventi diritto non si recheranno alle urne.

Eppure. Eppure, nonostante questo quadro inquietante la situazione non è paradossalmente così “preoccupante” nell’opinione pubblica internazionale. Tanto che, per dirne una, i dati sul turismo (una delle principali risorse del Paese) stanno finalmente volando dopo la tragica crisi degli ultimi anni. Due esempi significativi: stanno riprendendo i voli turistici da Mosca e il turismo italiano ha registrato un incremento 94,1% nel 2017 rispetto al 2016, e i primi due mesi del 2018 confermano la tendenza.

Mi torna alla mente quanto mi confidò alcuni mesi fa un giovane amico egiziano: «Noi speravamo di fare un passo avanti in senso democratico, ma purtroppo la paura di un ritorno al potere dei fondamentalisti e degli attacchi mortali dei jihadisti nel Sinai e nel Delta fanno sì che molta gente, moltissimi egiziani, vedano ancora nell’esercito l’unica àncora sicura per non cadere nell’anarchia e per non fare la fine della Siria o dell’Iraq». Ha quindi aggiunto: «In questo senso l’esercito è da sempre per molta della nostra gente una garanzia di controllo, nonostante la pesante crisi economica e tutto il resto. Perché precipitare in una situazione “siriana” sarebbe molto peggio».

L’appuntamento per conoscere l’esito di una consultazione elettorale che si annuncia senza sorprese è per il primo aprile. Valutare l’andamento delle elezioni sarà comunque interessante, perché, a mio avviso, è scorretto valutare le presidenziali e la democrazia egiziane con criteri estranei alla storia e alla cultura di un Paese che finora è comunque riuscito in qualche modo a cavarsela rispetto alle situazioni drammatiche di vicini come Gaza, Libia, Yemen e Sud-Sudan.

 

 

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