Essere al servizio di tutti, nessuno escluso

Cosa ha portato Francesco? Alla messa con la comunità cattolica, poi con il Consiglio supremo dei monaci therevada e, infine, con i vescovi del Paese e con i giovani il papa invita a non fare discriminazioni nell’amore al prossimo.

Quando si è sofferto non poco nella vita, il modo di reagire di fronte anche a grandi eventi è composto, sereno, direi moderato. C’è un silenzio interiore notevole nella gente che assiste alla messa celebrata dal papa per la comunità cattolica allo stadio di calcio del Kyaikkasan Ground di Yangon: una compostezza nei modi di fare e negli sguardi che impressiona, non si alza lo sguardo nemmeno quando le telecamere inquadrano i fedeli!

È un momento storico atteso da tempo. Per arrivare lì, ieri, alcuni hanno viaggiato per giorni e giorni con mezzi di fortuna, da migliaia di chilometri di distanza, altri sono arrivati a piedi. Nessun cattolico ha voluto mancare all’appuntamento. Chi non è stato lì fisicamente, lo è stato con la preghiera, nell’offerta del proprio dolore. Già, il dolore: in queste terre è esperienza di ogni giorno. Le parole di ringraziamento del card. Charles Bo, in conclusione, riassumono i sentimenti dei presenti: «La vita non sarà mai più la stessa per i cattolici del Myanmar. Francesco è un buon pastore che va in cerca dei piccoli e di chi è ai margini. Torniamo a casa con una straordinaria energia spirituale, orgogliosi di essere cattolici, chiamati a vivere il Vangelo».

Papa Francesco ha raggiunto in questo viaggio un vertice della sua dottrina spirituale e politica: ha cercato il piccolo, si è chinato e ha soccorso «la pecorella ferita e smarrita». Ha riconfermato i fedeli a continuare a portare al popolo del Myanmar l’amore e il servizio che la Chiesa da sempre dona, senza distinzione alcuna di razza, religione o fede. E con le autorità civili e militari ha ribadito, come di fronte al Consiglio supremo dei monaci e con le stesse parole del Buddha, la sua “politica”: la necessità di andare avanti nel servizio, nell’accoglienza e nel rispetto per tutti gli uomini, per tutti coloro che sono “diversi” per etnia, lingua o religione.

Il Santo Padre ha portato avanti una “politica delle virtu’ umane”, sostenendo quei valori umani indispensabili per lo sviluppo della società, come la famiglia o la cultura dell’incontro. Tutti hanno ascoltato, anche coloro che hanno le armi in pugno, anche i monaci più intransigenti. Una lezione di dialogo anche politico e interreligioso, perché Bergoglio l’ha fatta “scendendo” verso chi lo ascoltava: con doni adatti, parole moderate ma precise, persino senza scarpe, come ha fatto di fronte ai monaci scalzi. «Sconfiggi il malvagio con la bontà», aveva detto il Buddha: il Papa ha riportato parole care e conosciute ai monaci ed ha fatto breccia.

Coi vescovi ancora una volta ha ricordato che i pastori devono avere “l’odore delle pecore’’: qualcuno ha volute cogliere in queste parole del papa un monito ai presuli, ai sacerdoti e a tutto il popolo di Dio a non seguire la mentalità diffusa in Myanmar che vuole la non accettazione di alcune etnie, favorendone al contrario altre. La strada che Francesco ha ribadito è quella del Vangelo e dell’esempio. E ai giovani ha ricordato lo “spirito missionario” della Chiesa: «Tutti si sentano inviati da Gesù verso chi soffre, nessuno escluso e senza escludere nessuno».

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