Al funerale di Pannella
Pur non essendo certamente un radicale, anzi essendomi trovato il più delle volte su posizioni opposte rispetto a Pannella, sono venuto al suo funerale. Ci sono tutti: i detenuti di Rebibbia e i politici, i militanti, i preti, i turisti… tutti. Un migliaio di persone. Forse pochine. Ma cogliere l’idealità delle persone è sempre esercizio prezioso.
Parla la Bonino. Intensa. Parlano altri con meno forza. Poco importa. Nel momento della morte A livella di De Curtis impone la sua verità. Non conta più il circo mediatico che pur è presentissimo. Conta la realtà, forse la verità. Non posso non pensare alla croce di Romero che stringeva senza poterla lasciare.
Mentre un'orchestra di Dixieland suona musichette irriverenti (Giacinto esulterà) mi chiedo cosa abbia spinto Bergoglio a cercare Pannella. Probabilmente null’altro che l'istinto evangelico di compassione. Di misericordia. Di “farsi tutto a tutti” perché qualche goccia dell'amore (senza aggettivi) lenisca le nostre piaghe.
Mi trovo a consolare una militante sessantenne o forse più, da sempre radicale. C’è tanta gente anziana qui in piazza Navona. Pannella aveva 86 anni. Si ritrovano i Cicchitto e i Rutelli, le Bonino e le Bernardini. E poche centinaia di persone che tanta influenza hanno avuto sulle italiche sorti, nel bene e nel male. Pannella aveva capito che non conta la quantità in politica.
Un uomo. Che vuole cambiare il mondo. Follia. Eppure è una malattia contagiosa. Pannella. Bergoglio. Martin Luther King. Aung San Suu Kyi. Lubich. La lista è lunghissima. E speriamo che si allunghi all'infinito. Servono i folli in questo mondo tecnologizzato che vuol rendere tutti dei numeri. Dei burattini. Servono ancora idealisti. Profeti e non solo uomini d'ordine.