Al festival arrivano i bei film
Forse qualcuno non se l’aspettava ma al festival – poca festa – romano qualche lieta sorpresa c’è stata. Mi riferisco a due film in particolare, che affrontano il tema della vita da situazioni diverse, ma con una tale insistenza e scavo doloroso da non passare inosservati, anzi.
Per la sezione Alice in città, dopo quattro anni di fatica, Vittorio Moroni presenta Se chiudo gli occhi non sono più qui, in concorso. Kiko è un ragazzo figlio di una immigrata filippina e di un friulano da poco scomparso. La madre ora ha un compagno che fa lavorare in nero altri immigrati e che si scontra col ragazzo adolescente, che non l’accetta. Kiko è intelligente, ama le stelle e l’universo, ha un suo mondo dove dialoga col padre morto, è chiuso nel dolore, disprezzato dai compagni di classe. Dolorosamente solo, in definitiva. A scombinargli la vita, e ad aprigliela sui valori – primo fra tutto la capacità di non considerare la gente dei “mostri” ma di saperla ascoltare e forse anche perdonare -, arriva un vecchio prof in pensione, Ettore, che l’accoglie a casa come un figlio, salvo poi rivelargli un tremendo segreto che fa precipitare nel dramma il ragazzo.
È un film sulla educazione alla vita, alla bellezza, alla comprensione, privo di lungaggini, di sentimentalismi, ma asciutto e recitato, in maniera veramente unica, da un grande Giorgio Colangeli (oltre che da Giuseppe Fiorello, Ignazio Oliva, Anita Kravos e il giovanissimo protagonista filippino), l’opera di Moroni è una delle più belle sull’universo giovanile e non solo di quest’anno. Applaudita da una vera standing ovation,commuove per la sua verità, perchè i sentimenti più umani dei giovani, ma anche degli adulti, vengono messi in evidenza, con l’aiuto di una musica molto bella, di una fotografia descrittiva e sobria e trasuda amore per la poesia come la splendida scena dove si cita il leopardiano Canto notturno ed il finale trasparente, che non sveliamo.
Di tutt’altro argomento parla Sorrow and joy del danese Nils Malmros. La donna che uccide la figlioletta di nove mesi e poi viene “redenta” dall’amore del marito, uomo prima glaciale, è un dramma spinoso, di una durezza, di un gelo sentimentale che dall’inizio alla fine lo accompagnano. Il perchè della depressione e del delitto, la disperazione dell’amore che si fa angoscia, ma anche speranza vivono nella coppia di Johannes e Signe, nell’inverno del 1984. È sempre inverno nevoso, grigio, piovoso, durante tutto il film, che ricorda certe atmosfere di Bergman o di Lars von Trier in quel filosofico chiedersi il motivo del dolore, della morte ed anche dell’amore.
Recitazione alla grande in una tragedia intima, interna, che sempre ritorna e sempre si vuol superare, in una pellicola da non perdere quando uscirà in Italia, (speriamo).
E finalmente una distensione – si fa per dire – nella nuova versione di Romeo and Juliet di Carlo Carlei, rispettosa dei dialoghi (tagliati) scespiriani, ambientata tra Verona e Palazzo Te a Mantova, con costumi bellissimi e giovani attori non ancora ventenni, come Douglas Booth ed Hailee Steinfeld. Che dire? La storia dell’amore impossibile, tenero e furioso dei giovani, e delle inimicizie insanguinate degli adulti, seduce ancora in questa versione per teen-agers patinatissima, colorata e piacevole.