Al di qua della soglia
La medicina si occupa dell’uomo dalla nascita alla morte. Purtroppo però sono pochi i medici che si occupano seriamente dell’uomo che sta passando all’altra vita, perché la società attuale rimuove il problema e seguire il malato terminale è molto frustrante. Degno di rilievo perciò lo studio compiuto da un’équipe di cardiologi olandesi che hanno raccolto l’esperienza di trecentoquarantaquattro cardiopatici rianimati dopo un arresto cardiaco presso dieci centri del paese. Sessantadue di loro hanno raccontato di aver avuto un’esperienza vicina alla morte che era descritta come uno stato di coscienza particolare, quale l’impressione di vivere fuori del proprio corpo, sensazioni piacevoli, la visione di un tunnel, di una luce, di un parente morto, un rapido ma completo riepilogo della vita trascorsa. Tutto ciò avveniva nel periodo di morte clinica, quando cioè si aveva la perdita di coscienza dovuta ad un insufficiente apporto di sangue al cervello per deficit cardio-circolatorio o cardio-respiratorio, o di entrambi. Questa particolare esperienza non è apparsa legata alla durata dell’arresto cardiaco o dello stato di incoscienza, né al tipo di farmaci utilizzati, mentre sembra che un’influenza sia stata esercitata dalla paura provocata prima dell’evento clinico. Esperienze analoghe si possono provare con la stimolazione elettrica del lobo temporale cerebrale dell’ippocampo nel corso d’interventi neurochirurgici per epilessia, nell’avvelenamento da gas domestici, o durante una repentina riduzione dell’apporto d’ossigeno al cervello. Anche alcune droghe allucinogene come l’Lsd, la mescalina possono provocare alterazioni dello stato di coscienza simili a flashback che però non hanno la “completezza” riferita dai rianimati cardiaci. Secondo questa considerazione, gli studiosi concludono che bisogna ridiscutere l’idea che la memoria e lo stato di coscienza risiedono esclusivamente nel cervello, poiché alcuni di questi pazienti hanno descritto con precisione quanto si era verificato intorno a loro durante il periodo di morte clinica, con elettroencefalogramma piatto. Esperienze del genere sono state già descritte, ma riguardavano casi rari. Per la prima volta ci sembra però che i dati raccolti siano stati sottoposti a rigorose valutazioni scientifiche. Riteniamo che nuovi dati saranno forniti, vista la diffusione ormai capillare dei defibrillatori cardiaci, in grado di risolvere la pericolosa e mortale fibrillazione ventricolare. Ma già da ora si può affermare che, nonostante gli straordinari progressi scientifici e tecnologici compiuti dalla medicina, molti passi devono essere ancora fatti per chiarire quel grosso mistero che è l’uomo.