Al di là degli scontri di piazza, le grandi sfide dell’Egitto

Nel Paese continuano le manifestazioni e gli scontri tra i sostenitori del deposto presidente Morsi e gli oppositori. Un approfondimento
Proteste in Egitto

In Egitto si continua a vivere nella tensione e nel pericolo di una escalation di violenza difficilmente controllabile. Non è sempre facile capire cosa stia veramente succedendo nei diversi punti sia del Cairo che del Paese. Per questo ci teniamo costantemente in contatto con persone sul posto che ci possono tenere al corrente della situazione che, comunque, resta molto fluida con accadimenti improvvisi e cambiamenti repentini, spesso assolutamente imprevedibili.

Nei giorni scorsi, «il popolo egiziano – ci scrivono dal Cairo – ha aderito con una nuova manifestazione ‘oceanica’ in tutto il Paese, rispondendo all’appello del comandante delle forze armate, il generale Sisi, che aveva invitato a scendere nelle piazze per dare loro un mandato per la lotta contro il terrorismo. La mobilitazione di piazza è stata, probabilmente, superiore a quella del 30 giugno, che aveva visto circa 30 milioni di persone manifestare contro il presidente. Purtroppo – e questo lo abbiamo visto nelle immagine trasmesse dai notiziari nel corso degli ultimi giorni – nella notte fra venerdì a sabato ci sono stati scontri particolarmente violenti soprattutto al Cairo, con 72 morti e alcune centinaia di feriti, secondo le cifre ufficiali comunicate dal ministero della Salute. La fratellanza musulmana ha parlato, probabilmente con una certa esagerazione – c’è anche una guerra delle cifre tra Governo e fratelli musulmani – di 120 morti e 4mila feriti».

La nuova ondata di violenza è esplosa nelle vicinanze della zona in cui avviene il sit-it dei fratelli musulmani a Nasr City, presso la moschea di Rabia al Adawiyya (che ha preso il nome di una grande mistica sufi che ha vissuto a Bassora, in Irak, nell’ottavo secolo). «È questa la località del Cairo – aggiungono le nostre fonti locali – dove da tre settimane i sostenitori del deposto presidente Morsi continuano a protestare contro la sua destituzione».

Non sono chiare le dinamiche che hanno portato agli scontri. Da una parte, infatti, il portavoce dei fratelli musulmani ha affermato che, nelle prime ore del mattino, le forze antisommossa della polizia avrebbero attaccato, con lacrimogeni e poi con armi da fuoco, gruppi che manifestavano pacificamente. Per contro, il ministro dell’interno, Ibrahim, in una conferenza stampa, ha rimandato la colpa agli Ikhwan (fratelli musulmani) con l’accusa di aver provocato gli incidenti, sia nei pressi del memoriale del presidente Sadat, ucciso anche lui da islamisti nel ’81, sia con gli abitanti di Mancheyet Nasr. Il ministro ha, inoltre, accusato le forze islamiste di aver fomentato gli scontri con le forze di polizia, dopo aver bloccato il ponte 6 ottobre che collega il centro città con l’aeroporto del Cairo. Gli organi ministeriali accusano i Fratelli musulmani di tentare di guadagnarsi la simpatia popolare ed estera, cercando di dimostrare che le forze dell’ordine non rispettano il diritto a manifestare pacificamente, uccidendo in modo premeditato.

Le nostre fonti dalla capitale egiziana ammettono l’escalation di violenza, ma anche sottolineano che, in generale, la gran parte dell’opinione pubblica locale non riesce più a credere ai Fratelli musulmani, sia per tutte le menzogne sentite che per gli atti di violenza perpetrati negli ultimi 2 anni. Infatti, si attende che escano definitivamente dalla scena pubblica.

Un fatto che che ci è stato riferito può essere sintomatico della situazione attuale. «Venerdi sera, dopo le pacifiche manifestazioni al Palazzo della Residenza presidenziale a Heliopolis – ci raccontano -, una macchina con dei giovani a bordo è stata fermata da un altro veicolo ed uno dei giovani è stato freddato da un colpo di pistola alla testa, solo perché festeggiava con le bandiere egiziane». Un gesto che ormai significa manifestare contro la fratellanza musulmana.

Il fronte di salvezza nazionale del vice-presidente El Baradei, espressione del governo di transizione, ha inviato le condoglianze alle famiglie delle vittime, chiedendo, fra l’altro, un'inchiesta sui fatti avvenuti. Ovviamente si accusano gli islamisti di aver istigato i propri seguaci e simpatizzanti alla violenza e di essere, dunque, causa della situazione attuale del Paese. Come anche gli organi di stampa occidentali hanno ampiamente documentato, il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha condannato questo nuovo bagno di sangue, esortando il governo “a proteggere tutti gli egiziani”. Inoltre, l’Unione europea, attraverso Catherine Ashton, ha chiesto di rinunciare alla violenza, mentre John Kerry, segretario di Stato americano, in una telefonata con Mohamed El Baradei ha espresso la profonda inquietudine degli Usa per il degradarsi della situazione in Egitto.

«Sabato sera – continuano dalla capitale egiziana – è scaduto l’ultimatum di 48 ore con cui il ministro della difesa, Sisi, aveva chiesto ai fratelli musulmani di interrompere le proteste di piazze e di partecipare attivamente e positivamente al processo politico per la messa a punto della annunciata road-map che dovrebbe portare, entro 6 mesi, alle elezioni. Il ministro dell’interno, Ibrahim, ha annunciato per i prossimi giorni un mandato giudiziario che permetta di sciogliere il sit-in a Nasr City, come pure quello davanti all’università del Cairo a Guiza. Gli abitanti di Nasr City soffrono, da quasi un mese ormai, per i disagi provocati dall’occupazione di alcune grandi arterie di collegamento. È praticamente impossibile vivere nella zona».

Purtroppo la fine della violenza non è ancora all’orizzonte e l’Egitto, nel suo delicato cammino verso la libertà e la giustizia sociale, si trova sempre più davanti a sfide molto grandi. Fra i punti interrogativi sempre più insistenti c’è non solo quello relativo alle modalità di soluzione del problema politico, ma quello dell’identità nazionale. È una questione, anche se con alcune differenze, comune ai Paesi del Nord Africa. Fino a due anni fa, le dittature tenevano insieme tutte le correnti, senza dubbio con una forte pressione. Oggi, si sono evidenziati due modi di percepire la vita civile ed il ruolo della religione al suo interno. Il vero problema è che le due correnti paiono essere sempre più lontane fra loro e le possibilità di mediazione sempre più difficili.

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