Al cinema arriva don Benzi, il “pazzo di Dio”

Il 31 ottobre è uscito nelle sale il documentario “Il pazzo di Dio - La strada di don Oreste Benzi” del regista Kristian Gianfreda, che abbiamo intervistato. Il film può essere richiesto anche sul sito della fondazionedonorestebenzi.org
Locandina del film Il Pazzo di Dio - La strada di don Oreste Benzi

C’è un documentario da vedere, al cinema, dal titolo “Il pazzo di Dio – La strada di don Oreste Benzi”, dedicato proprio al sacerdote romagnolo. Abbiamo incontrato il regista, Kristian Gianfreda, per parlare con lui di questo bel progetto. Siamo partiti dalla genesi del film.

Gianfreda, come è nata l’idea? Quando ha deciso di raccontare per immagini questo prete straordinario?
Nel 2025 si festeggia il centenario della nascita di don Oreste Benzi. E qualcosa dovevo fare. Dal ‘96 al 2007 ho seguito il suo operato, da un certo punto in poi con una telecamera. Lui ha cambiato la vita di moltissime persone e anche la mia. Realizzare un documentario su di lui vuol dire anche mostrare la mia riconoscenza per quello che ho ricevuto.

Nel titolo leggiamo la definizione “Il pazzo di Dio”. In che accezione dobbiamo leggere questo aggettivo?
“Il pazzo di Dio” si addice a don Oreste perché lui compiva scelte assolutamente controcorrente, totalmente prive di ipocrisia. È come se egli già vivesse con un piede nel Regno dei cieli. La sua determinazione e la sua sicurezza provenivano da una fede solidissima, ma al tempo stesso semplice. Questo, nel documentario, viene spiegato chiaramente. Il mio obiettivo era far capire la vera eccezionalità di don Benzi. Oggi a Roma c’è un processo di beatificazione che lo riguarda, ma la grandezza della persona è data dal fatto di essere riuscita, per tutta la vita, a far emergere la verità e la realtà di tante persone che soffrivano in silenzio. È partito dai disabili reclusi negli istituti, che non avevano accesso al lavoro, passando per i tossicodipendenti, considerati dei reietti all’epoca, arrivando alla battaglia che forse ha avuto più clamore mediatico: quella in favore delle prostitute. Che non erano lì perché amorali, ma perché schiave.

Ha lasciato una traccia profonda…
Con la sua capacità incredibile di entrare a fondo nella sofferenza umana. È stato il segno che don Oreste ha lasciato nella storia d’Italia.

Il film restituisce la sua forza spirituale e umana. Mi ha colpito una frase che egli dice all’inizio del film: «Non mi è mai dispiaciuto essere spregiudicato».
L’ho inserita all’inizio del documentario, come incipit, perché descrive perfettamente don Oreste. Può sembrare una contraddizione, una frase distante da un prete di campagna, della provincia italiana, così fedele alla tonaca. Invece è proprio quella la chiave di don Oreste. Lui vedeva in quella spregiudicatezza la sua coerenza e la sua serietà nel seguire il Vangelo e le parole di Cristo. Soprattutto, per quel che riguarda la giustizia e i poveri. La sua spregiudicatezza dava la misura di quanto fosse disposto a fare per seguire fino in fondo la sua battaglia contro le ingiustizie.

Tra i tanti materiali di repertorio usati, ce ne sono alcuni più intimi e altri delle teche Rai in cui don Oreste si confronta con i politici e i giornalisti in Tv. Addirittura, in uno, lo vediamo parlare con Gheddafi. Il suo atteggiamento, però, è sempre lo stesso: deciso, perentorio, chiaro. L’ennesima conferma della sua attenzione agli ultimi, per nulla intimorito dai potenti. È una lettura corretta?
Il repertorio è eterogeneo: dai suoi interventi a “Porta a Porta” (o in altre trasmissioni) che fanno parte della sua battaglia pubblica, alle sue interviste più private, girate da me negli ultimi dieci anni della sua vita. Effettivamente, salta agli occhi come don Oreste sia identico: che sia ripreso in una trasmissione importante o nell’intimo del suo ufficio, che parli con qualcuno senza sapere di essere ripreso, lui è sempre uguale. Non sente la pressione del giudizio altrui o della telecamera. Perché vive una missione così alta che quando parla con un barbone o con un potente, non c’è differenza.

Ecco di nuovo la sua grandezza…
La misura della sua statura umana e sociale. Seguendolo, notavo come lui avesse sempre lo stesso atteggiamento. Con un ministro, alla Bocconi, e subito dopo con un barbone. Cambiava però il linguaggio: essendo una persona intelligentissima, in Tv egli usava frasi brevi, capaci in pochi secondi di far arrivare il concetto, di colpire in modo magistrale. Allo stesso modo il senza tetto riusciva immediatamente a capire ciò che don Oreste volesse dirgli. In lui agiva lo Spirito Santo, diciamolo.

Un’altra parola fondamentale di don Benzi è “strada”, non a caso inserita nel sottotitolo del film. Mi sembra usata con un molteplice significato. Letterale, lo spazio in cui si è speso per il prossimo fragile, per il figlio/fratello smarrito, e spirituale, la strada del Vangelo, quella verso Dio. Don Oreste sembra aver messo sempre in una relazione profonda queste due strade.
La strada è un elemento fondamentale per lui. Tant’è che oltre ad essere nel titolo e nel percorso del documentario, anche molte delle interviste sono state fatte per strada o in automobile. Don Oreste ha passato la sua vita su un’auto in giro per l’Italia e per il mondo.

ALESSANDRO BIANCHI / ANSA / PAL

La storia di don Benzi ci parla di abbraccio alla disabilità, alla tossicodipendenza, in modo forte di battaglia contro la tratta, di sostegno alle donne sfruttate per denaro, attraverso la prostituzione. In un tempo in cui poche altre realtà lo facevano in modo così deciso. Che messaggio, che lezione, che rivoluzione, in qualche modo, è stata quella di don Oreste?
È come se lui avesse scoperto realtà di sofferenza che altri non vedevano. Pensiamo solo alla prostituzione, che era sotto gli occhi di tutti, ma nessuno faceva niente. Così come per altri ambiti. C’è voluta quell’empatia di un padre per i propri figli. Lui diceva sempre: «Ma se fosse tua figlia a prostituirsi in strada, tu staresti qui a parlarne o andresti subito a prenderla?». Don Oreste andava a prenderle davvero, come si vede nel documentario. Con una stanchezza pari alla determinazione, ha continuato per tutta la vita ad andarle a cercare, a portarle via da lì. Non si limitava alle parole, alla teoria: sentiva gli ultimi vicini in maniera evangelica, come suoi fratelli. Aveva una capacità incredibile di sentire gli ultimi e le persone sofferenti nel mondo. Non aveva limiti nella capacità di occuparsi di loro.

Gianfreda, ha qualche ricordo personale in questo senso?
Una volta ero con lui mentre accoglieva, la sera, la solita fila di persone nel suo ufficio, davanti alla parrocchia. Ascoltava le richieste più disparate e disperate. Rispondeva come poteva, sul momento. A un certo punto arriva una ragazza nigeriana, che si siede e dice di essere una prostituta costretta da un debito da pagare. Se non lo avesse fatto, avrebbero ucciso la sua famiglia. Il debito era astronomico: qualcosa come 20/30 milioni di lire. Subito don Oreste inizia a cercare nelle tasche della tonaca e tira fuori i soldi delle offerte che gli avevano portato durante il giorno. Svariati milioni! Beh, lui li ha dati a quella ragazza, dicendole: «Poi torna per il resto».

Lei come reagì?
Rimasi scandalizzato perché questa ragazza non la conoscevamo. Lui mi spiegò quanto essere legati veramente alla persona che soffre, che ti viene a chiedere, fosse importante, fondamentale, nella sua fede, nella sua vita. Don Oreste era veramente eccezionale rispetto a tutte le persone che ho incontrato nella mia vita.

Nel documentario, infatti, ci sono anche gesti importanti. Per esempio l’incontro tra Giovanni Paolo II e Anna: una ex prostituta salvata da don Benzi, malata di Aids. Da allora, ascoltiamo nel documentario, anche la Chiesa ha avuto un risveglio sul tema. Alla luce di questo esempio, quanto c’è di politico, nel senso più alto e nobile del termine, nell’opera di don Benzi?
Don Oreste aveva due piani di azione. Il primo era aiutare la persona che soffre. Lui interveniva con la sua grande determinazione e la sua forza. L’altro piano era politico: rimuovere le cause dell’ingiustizia, gridarla, fare in modo che cambiasse il sistema produttore di quell’ingiustizia.

Una doppia determinazione.
In parallelo. Ha fatto tantissimo. In alcuni ambiti ha cambiato la storia d’Italia. Basti pensare alla disabilità, nel chiudere degli istituti, negli anni ‘60 e ‘70, per arrivare alla fine dei ‘90 dove sono cambiate le leggi italiane sulla prostituzione. Il primo processo di riduzione in schiavitù è stato proprio a Rimini, su stimolo di don Oreste, che infatti ha anche testimoniato al processo.

Rimanendo sempre se stesso, come detto.
Questo non l’ha mai portato ad appartenere, e neanche ad avvicinarsi, a una forza politica, a un partito. Don Oreste era totalmente libero. La sua unica appartenenza era quella ai poveri.

Coi quali usava anche la sua bellissima dolcezza espressiva.
Una dolcezza e una capacità di amore che raramente ho visto in un essere umano. Lui univa la forza e la determinazione nel portare avanti le battaglie all’estrema dolcezza, all’attenzione, al rispetto per ogni persona che gli si parava davanti. Per me, ancora oggi, è inspiegabile come questi due aspetti, in modo tanto radicale, possano essere presenti in una stessa persona. Il documentario li mostra entrambi.

Foto per mostra di Don Oreste Benzi
© Daniele Calisesi

Oltre a ricostruire bene la storia della Comunità Giovanni XXIII, quasi la coprotagonista del documentario insieme a don Benzi. Potremmo dire una sua creatura, una sua figlia in mezzo a tanti figli salvati, ridati alla vita, insieme ad altri formati per continuare il suo lavoro. Ecco, quale eredità lascia una figura enorme come quella di don Benzi?
La Comunità Papa Giovanni XXIII è l’eredità che don Oreste ha lasciato al mondo, perché tutte le persone che hanno avuto fiducia nelle sue parole e hanno seguito il carisma che anche la Chiesa ha riconosciuto a don Oreste, fanno parte dell’associazione Papa Giovanni XXIII, che ha ereditato il suo spirito e soprattutto le sue battaglie.

Come è strutturata?
La Comunità ha più di 500 strutture aperte oggi nel mondo e porta avanti battaglie in tutti gli ambiti di don Oreste, quindi la disabilità e la prostituzione. In Italia, per esempio, è la prima associazione che accoglie bambini abbandonati negli ospedali per gravi disabilità, per dire come ancora oggi è molto presente. L’associazione Papa Giovanni XXIII è anche quella realtà che porta avanti il processo di beatificazione di Don Oreste e continua a tenere in vita la sua figura. Tant’è che anche il documentario ha trovato supporto dall’associazione e in particolare dalla Fondazione Don Oreste Benzi. Sul sito fondazionedonorestebenzi.org è possibile trovare tutte le informazioni su don Oreste e anche sul documentario per chi volesse vederlo nella propria città.

Il documentario è uscito il 31 ottobre in sala. In che modalità distributiva?
È in tutta Italia con una piccolissima distribuzione, per cui abbiamo bisogno che le persone lo chiedano. Chiunque voglia vederlo può richiederlo, come dicevo, andando sul sito, e noi glielo portiamo. Oppure, direttamente all’esercente cinematografico, ma nelle grandi città, come Roma, Milano, Bologna ecc.. il film è attualmente in visione e vi resterà per qualche giorno. Dipende molto dai cinema.

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