Aiuto ai Paesi poveri, il passo indietro dell’Italia
I dati preliminari 2023 del Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’Ocse fotografano una fase di stagnazione in gran parte dei Paesi ricchi, con un impegno globale che da passa da 211 miliardi di dollari nel 2022 a 223,7 nel 2023, uno stallo e nessun nuovo investimento aggiuntivo per sostenere i Paesi poveri martoriati da guerre, carestie, pandemie e crisi climatica.
In questo quadro l’Italia si distingue in peggio: non solo non cresce, ma arretra. In un anno siamo scesi infatti dallo 0,33% del Reddito nazionale lordo destinato all’Aiuto pubblico nel 2022, allo 0,27% nel 2023. Un taglio drastico di ben 632 milioni di dollari, da 6.645 milioni nel 2022 a 6.013 milioni nell’anno scorso, con un calo di quasi il 10%.
Il nostro Paese fa il “passo del gambero” (un passo avanti per farne poi alcuni all’indietro). Purtroppo l’Italia non mantiene la parola data. Anziché aumentare gli investimenti in cooperazione internazionale, mantenendo l’impegno di destinare lo 0,70% in aiuto allo sviluppo assunto 53 anni fa in sede ONU votando la risoluzione che vincola i Paesi sviluppati a dedicare lo 0,70% del loro reddito nazionale lordo agli aiuti pubblici e alla cooperazione allo sviluppo con i Paesi meno sviluppati. Impegno ribadito con l’adesione all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, adottata all’unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite nel 2015.
Eppure lo 0,70% non è un traguardo irraggiungibile: l’anno scorso 5 Paesi europei – Lussemburgo, Norvegia, Svezia, Danimarca e Germania – hanno raggiunto quell’obiettivo, cruciale per il presente e il futuro di centinaia di milioni di persone.
E, comunque, i 21 Paesi donatori dell’Unione europea raggiungono in media lo 0,52% del rapporto Aps/Rnl. Nel dettaglio, l’Aps italiano cala proprio nelle voci dove sarebbe più necessario investire: il calo è soprattutto nell’aiuto bilaterale, cioè tra Italia e singoli Paesi, più che in quello a sostegno delle Agenzie internazionali. Nel bilaterale in realtà il calo in un anno è molto più grave, da 3.386 a 2.539 milioni di dollari, pari al 25% in meno, e, in particolare, il nostro Paese è passato in un anno dai 515 milioni del 2022 per aiuti bilaterali ai Paesi africani, a 351 milioni nel 2023, cioè il 32% di meno in un anno e nell’Africa sub sahariana si scende da 334 a 299 milioni.
Non va meglio per i fondi destinati ai cosiddetti Paesi a basso tasso di sviluppo (Ldc), ovvero i più poveri e fragili, che calano da 381 milioni di dollari nel 2022 a 265 nel 2022, una riduzione drastica del 30%.
Tagli drastici anche sugli aiuti destinati a fronteggiare le più gravi crisi umanitarie, che crollano di ben 143 milioni, passando da 398 milioni a 255 (meno 36%).
E un terzo dei fondi destinati alla cooperazione viene speso nell’accoglienza sul territorio nazionale dei richiedenti asilo, per la quale non c’è uno stanziamento di risorse aggiuntive, ma si va a pescare nel bilancio per la cooperazione allo sviluppo: da 1.480 milioni nel 2022 il governo è arrivato a spendere 1.609 milioni nel 2023, circa il 27% – più di un quarto – del totale dell’aiuto pubblico italiano.
Certamente su questi numeri pesa l’aumento degli arrivi attraverso il Mediterraneo passati da 104 mila nel 2022 al numero record di 155 mila nel 2023. Risorse che ancora una volta però non vengono destinate ai Paesi poveri. E viene da chiedersi se sarà finanziato in questo modo il progetto del CAS in Albania.
Dunque un’a amara delusione per la Campagna 070 – promossa da Focsiv, AOI, CINI e Link 2007 con il patrocinio di ASviS, Caritas Italiana, Forum Nazionale del Terzo Settore e MISSIO – avviata due anni orsono e finalizzata a richiedere al Governo e al Parlamento italiani il rispetto di quell’impegno dello 0,70%.
Eppure si aveva la percezione che ci fosse da parte di molti esponenti del Parlamento e del Governo una maggiore attenzione verso questo impegno, tant’è che in questa prospettiva, nella sessione di Bilancio 2024-2026, come Campagna 070 si era proposto un emendamento non oneroso da inserire come articolo 30 nella Legge 125/14, che disciplina la cooperazione internazionale per lo sviluppo del nostro Paese.
Questa proposta da un lato rafforzava quanto già indicato dalla Legge, ma riallineandola ai nuovi obiettivi internazionali, dall’altro obbligava l’esecutivo, sin dal prossimo anno, a prevedere una programmazione graduale e vincolante per il raggiungimento di quel traguardo entro il 2030.
Nonostante ci sia stata la dichiarazione di inammissibilità formale di questo articolo e quindi il respingimento dell’emendamento in sede di ratifica della Legge di Bilancio da parte del Consiglio dei Ministri, articolo ed emendamento sono stati oggetto di una positiva discussione sia tra i Capigruppo parlamentari di maggioranza e di opposizione che in sede governativa.
Per di più, la Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, nella Relazione sul Bilancio di previsione dello Stato 2024, ha richiesto che si «valuti l’opportunità di programmare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, un aumento graduale e di lungo periodo delle risorse complessive destinate alla cooperazione e allo sviluppo al fine di consentire, in un arco temporale definito, il pieno riallineamento dell’Italia agli impegni internazionali assunti in materia».
Il Parlamento, inoltre, aveva approvato la mozione presentata dalla maggioranza sulla COP28, svoltasi a dicembre scorso a Dubai, che impegna il Governo ad «adottare iniziative per il raggiungimento dell’obiettivo di una quota pari allo 0,70% del Pil in aiuti allo sviluppo, destinando il 50% di queste risorse alla lotta per il cambiamento climatico».
E la presidente della Commissione esteri del Senato, senatrice Stefania Craxi, ha sostenuto la necessità di chiedere all’Unione europea che i fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, ad iniziare da quelli dei progetti europei, siano scorporati dal conto del rapporto tra deficit e Pil dei singoli Stati.
Non solo, in quanto la stessa Commissione ha «impegnato il Governo ad aumentare il volume destinato alla cooperazione allo sviluppo di anno in anno» e ha evidenziato come l’Aiuto Pubblico allo sviluppo nel 2022 sia stato limitato allo 0,32%. Dato che, secondo la senatrice, è ancora gravemente insufficiente alla luce delle «scelte drammatiche» necessarie a livello internazionale, per rispondere ai «bisogni sociali» e per il «supporto alla crescita economica».
Tutto ciò era il primo tangibile risultato istituzionale del percorso avviato, in questi 24 mesi di Campagna, di dialogo con le Istituzioni e con le Rappresentanze politiche. Ed era anche il concreto e positivo esito delle molteplici iniziative di sensibilizzazione e advocacy realizzate da decine di Associazioni e Reti della società civile italiana.
Avevamo guardato con attenzione l’avvio del Piano Mattei per l’Africa, voluto dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, come un’opportunità per costruire una stagione nuova nelle relazioni del nostro Paese con i Paesi del continente africano, dando vita a un modello di «partenariato vantaggioso per tutte le parti, lontano da logiche paternalistiche o predatorie».
Un passaggio che segnava una novità proprio per la chiarezza di uno dei messaggi chiave dell’intervento della presidente Meloni, quando sottolineava che il futuro dell’Italia dipende inevitabilmente dal futuro dell’Africa.
Ma ora perché questa retromarcia? Chiediamo quindi al Governo e al Parlamento, con spirito di dialogo, più coerenza e determinazione nel cambiare marcia, a partire dalla prossima Legge di Bilancio. In nome della credibilità e responsabilità dell’Italia nel mondo e verso l’Africa.
Ricordando che il nostro investimento in cooperazione è la cartina di tornasole con la quale l’Italia dimostra la sua credibilità e affidabilità nelle relazioni e nelle istituzioni internazionali, assumendo anche in questo modo un ruolo da protagonista nella costruzione di un mondo più giusto e in pace.
Sviluppo è anche capitale umano e sociale, Soft Power. È aiuti umanitari, garanzia di arrivare a domani. È sicurezza alimentare: l’Onu stima che la popolazione mondiale sarà di 10 miliardi nel 2050, dopo domani. Di questi il 75% vivranno nelle città e saranno 7,5 miliardi contro i 4 miliardi che ora nelle città vivono. Come assicurare il cibo e le case e nuove città e nuovi quartieri per quelle persone?
E investimenti nell’istruzione e nella formazione professionale, accessibilità universale alle medicine e ai servizi sanitari, riqualificazione delle periferie urbane, disponibilità di acqua potabile e di elettricità e di servizi TLC e digitali, promozione della imprenditorialità locale in partenariato, cura dell’ambiente e delle risorse naturali, programmi di transizione green, superamento delle monoculture agroindustriali.
Sviluppo è costruzione di fiducia, in un mondo dove siamo il 10% della popolazione della Terra e ancor meno di giovani. Dove chi ha i piedi sul terreno sa che aumentano la delusione, l’insofferenza, il risentimento e la conflittualità nei nostri confronti.
Un Paese che non riesce a mantenere le sue promesse è un Paese debole e sfiduciato. Ma noi, come Italia, vogliamo e dobbiamo e sappiamo stare al mondo a testa alta, con dignità e con rispetto.
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