Aids: urge un cambio di paradigma
L’epidemia di Hiv inizia nel 1981, con alcuni casi di sindromi immunodepressive scoperte negli Usa, per lo più in pazienti omosessuali e tossicodipendenti; nel 1982 Robert Gallo identificò il virus Hiv, che si diffonde tramite il sangue e altri liquidi biologici (ad eccezione di lacrime, saliva e sudore). Le modalità di trasmissione del virus e l’associazione con comportamenti a rischio portano a una fortissima stigma sociale dei malati di Aids e alla percezione errata che il problema riguardi persone socialmente emarginate. Di qui il mix di timore e indifferenza che rallenta la diagnosi e limita l’accesso alle cure. Dal 1996 è disponibile una terapia che rallenta la progressione dell’infezione e permette un’aspettativa di vita prima impensabile.
In Italia i nuovi casi rimangono intorno al 6 per mille annuo; per effetto delle cure la mortalità si abbassa per cui aumentano i pazienti che vivono col virus (dai 18.013 del 2004 ai 23.385 del 2013). Purtroppo la diagnosi avviene per lo più in età avanzata e in fase tardiva, quando la malattia si manifesta con infezioni tipiche dell’immunodeficienza (Aids conclamato). Troppo poca la consapevolezza della necessità di proteggersi e utilizzare il test.