Aida: un grande evento

Rappresentata in forma di concerto al Parco della Musica di Roma. La vena melodica verdiana è protagonista assoluta
Aida Parco della Musica di Roma

A volte si assiste a quello che giustamente, e senza la solita retorica giornalistica, è veramente un fatto straordinario, cioè un evento d’arte. Ieri sera al Parco della Musica in Roma, l’Accademia Santa Cecilia ha presentato l’Aida verdiana in forma di concerto. Senza scene, costumi, senza i trionfi dell’Arena di Verona o dei teatri lirici normali, senza insomma il sussidio spettacolare che fa dell’opera un grande prodotto nazional-popolare. Questa volta a dettare legge è stata la sola musica, per fortuna. E si è visto la potenza evocativa, l’icasticità drammatica, la vena melodica verdiana torrentizia fare da protagonista assoluta: una volta tanto la musica diceva tutto – come spesso in Verdi – senza bisogno di orpelli.

Merito in gran parte di un coro così musicale che oggi è rarissimo ascoltare tanto compatto, scorrevole, tonante e leggero; di una orchestra al livello massimo come potenza di suono, capacità di fraseggio, limpidezza e colori: memorabili i violini primi nel finale e nell’aria “Celeste Aida”, i legni e gli ottoni (un po’ meno le trombe della Marcia trionfale, per quanto esatte). Memorabile la lezione direttoriale di Antonio Pappano, eccelso interprete verdiano, uomo dal senso teatrale innato, capace di far cantare l’orchestra in lunghe melodie ‒ i violoncelli dell’Atto secondo ‒, ma anche nella tremenda scena “del giudizio” dell’ultimo atto, tra scoppi furibondi che preludono all’Otello e sottigliezze paradisiache nel duetto finale. Sempre il canto verdiano, affettuoso, lirico ed eroico ha visto nell’orchestra un’autentica protagonista, sotto una bacchetta precisa negli stacchi, capace di “rallentando” delicatissimi e di lasciar “cantare i cantanti”.

A questo proposito, star è stato Jonas Kaufmann, il miglior Radames forse oggi in circolazione, anche il miglior tenore lirico-drammatico attuale. Alla pronuncia perfetta in italiano, il tenore ha regalato una “Celeste Aida” da ricordare, con un finale in “pianissimo”, filato sopra i violini, e lunghissimo, etereo; ma anche squilli tremendi, languori soffici, con una estensione vocale amplissima, una forza di emissione grande ed una passione controllata ma scenicamente importante.

Il Re di Marco Spotti ha regalato una vocalità cantabile profonda, calda e possente, come l’Amonasro di Ludovic Tézier, mentre il Ramfis di Erwin Schrott, ha talora esagerato nelle forzature, ma il colore vocale è sempre bello. In una parte spossante come Aida, Anja Arteros ha alternato momenti molto belli, di forza e di spasimo, a qualche asperità negli acuti, bellissimi tuttavia quando li prende con delicatezza, mentre l’Amneris di Ekaterina Semenchuk brillava come potenza sonora.

Su tutto Pappano ha steso la sua gran ombra direttoriale sanguigna e romantica, a far emerge in Aida un affresco di popolo, un contrasto sociale e la gelosia come motore dei rapporti umani in cui Verdi è grandissimo. Una Aida rivelata per quello che è: equilibrio perfetto fra musica e parola, tra passato e futuro, tra destino universale e storie particolari sotto un fuoco melodico impressionate che ha bruciato dall’inizio alla fine nel segno della chiarezza ‒ straordinaria la “distinzione” fra gli strumenti – tipica di Pappano e di Verdi. Ovazioni a non finire.

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