Aida, storia di giovani
Nomini Aida e balzano alla fantasia balletti, marce trionfali, inni marziali. Insomma, lo spettacolo che da sempre attira pubblico all’Arena di Verona. Ma è questa la vera Aida, come Verdi l’ha pensata nel 1872? Assistendo all’allestimento degli anni Sessanta, di Franco Zeffirelli, ed ora ripreso alla Scala, vengono dei dubbi. Aida, è chiaro, va messa in scena all’interno di un teatro. Gli spazi esterni infatti la snaturano e fanno passare in secondo piano la storia d’amore dei tre giovani – Radames, Amneris e Aida – che è il motore drammatico dell’opera. A cui si aggiungono gli altri elementi – il ruolo del padre, della politica, della religione – tutt’altro che sottintesi. Anzi, molto espliciti. Perciò, balletti e trionfi sono il contorno – a cui Verdi crede, tanto da inventarsi le sue musiche più belle nel genere –, ma non l’essenziale.
Ciò detto, l’Aida scaligera e zeffirelliana non è logorata, ma nel gioco colorato di luci, costumi e possenti scene, solari e lunari, invita ad entrare nella favola d’amore impossibile, che è poi il cuore del dramma verdiano. Dirigeva Omer Meir Wellber valorizzando legni ed archi gravi dell’orchestra, e un cast su cui spiccava l’Aida passionale di Liudmyla Monastyrska. Il “bataclàn” (come lo chiamava Verdi) di marce ecc., equilibrato, a dar sfogo al sentimento.