Aida di Bob Wilson
Roma, Teatro dell’Opera. ? Si dovrebbero decidere a mettere l’anima in pace i commentatori e la fetta di pubblico riguardo a quest’Aida dell’americano Robert Wilson, già apparsa a Bruxelles e a Londra: una novità, quindi, solo per Roma. Lo spettacolo di Wilson è dispiaciuto infatti a chi dovrebbe fare i conti col fatto che ormai i registi sono quelli che propongono – a volte impongono – le interpretazioni di un’opera, almeno all’estero. Via quindi dall’Aida la retorica dello scenario egizio. Aida è opera intima, che regge benissimo nel chiuso di un teatro, male invece all’aperto, dove la si trasforma in una sorta di circo equestre. Verdi, nel 1871, pensava di chiudere con la carriera ed allora eccolo inventare un grand-opèra a modo suo, che riassume il meglio della sua tematica. Amore, gelosia, patria, onore. E una musica fresca e sensuale, una strumentazione finissima e calibrata, senso dell’azione, che vola verso un finale trasfigurato, ove i due amanti muoiono mentre gli si schiude il cielo. Cosa ha fatto Wilson? Ha inventato un fondale neutro su cui vagavano splendide luci, con chiaro significato simbolico, a commento dei sentimenti e delle azioni. Ha costretto i cantanti in pose ieratiche, come nei dipinti egizi, in modo che la musica avesse la prima e l’ultima parola senza l’eccesso della gestualità. Ha usato nello stesso modo il coro, i danzatori e le comparse, avvolgendoli di costumi quasi spaziali ed ha creato degli interni assai suggestivi. Penso alla scena dentro al tempio di Vulcano, algida come gli interni del film 2001, Odissea nello spazio. Wilson avvolge di qualcosa di ultraterreno l’opera, togliendo carnalità alla musica e facendo sì che la melodia sorgiva di Verdi possa dispiegarsi appieno. L’avrà accettato il direttore Daniel Oren? Qualche dubbio è lecito, visto che, pur meno fremente del solito, sembra aver faticato a trovare equilibrio tra le delicatezze intimistiche di archi e legni e lo squillo degli ottoni, con una orchestra e un coro di livello, anche se un po’ al di sotto rispetto alla prestazione con Muti. E i cantanti? A parte l’Amonasro deciso di Ambrogio Maestri e il sempre bravo Carlo Colombara (Ramfis), i due protagonisti erano sotto sforzo. Il soprano cinese Hui He (Aida) è fresca ma talora incerta, e il tenore Salvatore Licitra è un Radames che lavora per frenare il volume. Risultato? Per alcuni, un po’ paura del presente e del futuro. Coraggio, Teatro dell’Opera, siamo sulla buona strada. AIDA IN CD E VIDEO Fondamentale la direzione di Toscanini del 1949, a cui si richiamano direttori come Abbado, Muti, Solti, Schippers e Metha. Al polo opposto, incisioni dove primeggiano le star: Tebaldi e Del Monaco (1952), Callas e Di Stefano (1954), Price e Domingo (1970), Varady e Pavarotti (1982). Di riferimento, l’edizione diretta da Karajan del 1970 con la Freni e Carreras.