Ai 42 gradi di Firenze Nord
Ieri mi sono messo in auto per raggiungere una località trentina partendo dalla Capitale. All’altezza della chiesa di Michelucci in quel di Firenze, il traffico si è bloccato.
Il termometro dell’auto che usavo indicava i 41 gradi, certamente esagerati, lo sappiamo bene che questi strumenti nelle macchine sono raramente affidabili e precisi. Tuttavia, anche se fossero stati 38, i gradi sarebbero comunque stati troppi. E ho pensato allora all’inverno libanese, che ho vissuto in un questo 2019 piovoso e freddo, fino a maggio inoltrato; qualche giorno fa, nella montagna di Faraya, avevo visto ancora degli incredibili nevai ad appena 220 metri d’altezza.
In giugno in Sud Sudan, avevo ascoltato i canti della popolazione che si lamentava per una stagione delle piogge senza precipitazioni, con gravi rischi di carestia nei mesi prossimi. Mentre qualche giorno fa un’amica canadese mi lamentava via whatsapp dei prati gialli dell’Alberta, colore che di solito non raggiungono mai.
Un amico italiano, questa volta ricercatore in missione al Polo Sud, si lamentava a sua volta su Facebook dello scioglimento inatteso dei ghiacci, nonostante per le sue ricerche ciò rappresentasse una miniera di nuove scoperte e nuovi dati. Tutti, infine, abbiamo le code dei rocciatori in cima all’Everest, perché quest’anno la “finestra” a disposizione degli alpinisti per scalare la vetta più alta del pianeta s’è ridotta da quattro a una settimana. E ognuno può aggiungere la sua testimonianza.
Non sono certo un esperto di cambiamenti climatici, ma qualche inquietudine ormai non può essere negata. È vero, da che mondo è mondo la gente dell’intero pianeta è dedita allo sport più diffuso che sia, quello di parlare della pluie et dub eau temps, direbbero i francesi, cioè della pioggia e del bel tempo. È vero, tante previsioni che si pretendevano scientifiche, un tantino catastrofiche, sono state smentite dai fatti rivelandosi eccessive. È vero l’ecologismo può diventare appunto un “-ismo”, cioè una delle tante ideologie non credibili. Però.
Però c’è qualcosa che effettivamente non va, al punto che a tutte le latitudini e a tutti i paralleli si moltiplicano le iniziative per la difesa del creato. Giusto per fare un esempio, ho avuto recentemente a che fare con iniziative per la raccolta di bottiglie di plastica, da parte della popolazione “normale”, e di sacchetti abbandonati, in una spiaggia libanese nel nord del Paese, in una campagna al confine tra Benin e Nigeria, in un parco di Aleppo in Siria, in un borgo dalle parti di Bagan, in Myanmar, di recente inserito nella lista dei siti patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Stesse argomentazioni, stesse modalità di raccolta, stessi giovani e adulti ma con la pelle di coloro diverso. È inarrestabile, ormai, la crescita della coscienza nella società civile di una sensibilità alla preservazione dell’ambiente naturale. Lo stesso papa Francesco se ne è fatto voce autorevole, con la sua enciclica Laudato Si’, epocale segno di sensibilità che supera i canoni tradizionali della vita civile, per diventare qualcosa che tocca contemporaneamente politica, spiritualità e comportamenti. È questo, nella catastrofe ambientale che stiamo vivendo, un gran bel segno.
Mentre qui a Firenze i gradi sarebbero diventati 43 e alla radio spiegano che un mare di auto si sarebbe riversata sull’autostrada per l’incendio doloso di una cabina elettrica delle Ferrovie dello Stato nella vicina Firenze. Forse qualche anno fa non avrei pensato la stessa cosa bloccato in fila sull’autostrada del sole per eccesso di vacanzieri.