Ahern e Prodi “Non seminare erba, ma alberi”

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DA DUBLINO Piccoli come l’Irlanda Grandi come l’Europa Nelle riunioni dell’Unione europea in questo semestre a presidenza irlandese, il primo ministro Bertie Ahern – espressione di un partito di centrodestra – riscuote un grande successo, per la sua disponibilità al dialogo e per l’innata capacità di cercare una soluzione che non scontenti nessuno. Non ha mai voluto rinnegare le sue umili origini, cosicché in Irlanda la sua immagine è molto popolare, tanto da permettergli di varare delle misure apparentemente impopolari come il divieto di fumo in tutti i locali pubblici, pub compresi. Tigre celtica e dinamica sociale hanno portato l’Europa a guardare con una certa curiosità non solo turistica all’Irlanda. Con che occhi l’Irlanda guarda invece all’Europa? L’Irlanda si è trasformata molto rapidamente da quel paese relativamente povero che era a paese sostanzialmente benestante. Il nostro tasso di occupazione è il più alto che ci sia mai stato nel paese: la nostra popolazione non è più costretta a cercare lavoro fuori dall’Irlanda. Questa è una ragione valida per esultare, visto che l’occupazione proficua è la chiave per sostenere il progresso economico e creare prosperità, oltre che per mantenere le famiglie unite. Tali sviluppi si sono verificati in trent’anni, e sono dovuti in gran parte alle nostre politiche interne coerenti e mirate, basate su un consenso sociale, e al clima creato dall’Unione europea fondato su regole pacifiche e di sicurezza esterna e su un sistema di commercio aperto e ben regolato. La solidarietà mostrata dai nostri partner europei, attraverso politiche strutturali e coesive, ha contribuito in gran parte al nostro sviluppo. I sondaggi oggi dimostrano un forte sostegno dell’Irlanda all’Ue, tra i più alti degli attuali stati membri. Da paese che ha tratto vantaggio come membro dell’Unione, desideriamo fortemente il suo ampliamento del primo maggio. Un allargamento che dà speranza a tanti che potrebbero seguire il nostro stesso cammino verso la prosperità. Come presidenza di turno, avremo l’onore di ospitare un summit di rilievo: in tutto il paese ciò darà luogo a festeggiamenti per i capi degli stati membri. Quale il programma del suo governo in questo semestre di presidenza? La Conferenza intergovernativa avrà la massima priorità sotto la nostra presidenza, nel tentativo di ottenere un accordo sul nuovo trattato costituzionale. Una priorità assoluta è inoltre quella di dare il benvenuto ai nuovi stati membri il prossimo primo maggio, data che segnerà la fine della divisione dell’Europa nel dopoguerra. Avremo inoltre al centro del nostro programma di lavoro la crescita sostenibile e la coesione sociale. Per quanto riguarda la giustizia e gli affari interni, ci concentreremo su un’ampia agenda che copre l’asilo politico, l’immigrazione, la polizia e la cooperazione giudiziaria negli affari criminali e nella cooperazione legale civile. Dobbiamo assicurare che le liberta di cui godiamo non siano sfruttate da elementi criminali per profitti illegali. L’Irlanda lavorerà per ottenere i massimi livelli di libertà e di sicurezza di tutti i popoli dell’Ue. Cercheremo di riaffermare la vitalità e l’importanza delle relazioni dell’Unione con gli Usa ed il Canada, oltre che cercare un nuovo slancio nelle relazioni strategiche con la Russia. La presidenza irlandese farà anche in modo che le questioni africane abbiano un posto di rilievo nell’agenda dell’Ue. Durante la nostra presidenza, avrà luogo la 60a sessione della Commissione sui diritti umani dell’Onu. L’Irlanda vuole convocare delle sessioni di dialogo sui diritti umani con la Cina e l’Iran. Altre questioni centrali sono le relazioni con il Giappone, l’Asia, l’America latina e i Caraibi; la situazione in Iran ed Iraq; la lotta contro il terrorismo globale e il continuo sviluppo della politica di difesa e di sicurezza europea. Come vede la situazione del suo paese, tra modernità e tradizione? L’Irlanda ha subìto un enorme cambiamento economico e sociale negli ultimi decenni. Abbiamo sperimentato una crescita senza precedenti e la fine di un’era in cui il nostro paese è stato flagellato da un alto tasso di disoccupazione e di emigrazione. Oggi, per l’Irlanda, è di vitale importanza consolidare i progressi positivi fatti, e continuare a costruire un’economia moderna e forte. Siamo sempre stati una nazione all’avanguardia e progressista, determinata a svolgere il nostro ruolo nel mondo attraverso la politica internazionale, il commercio, lo sport, le arti ed altro. Una parte importante del merito di tutto ciò è attribuibile all’eredità cristiana. Essendo stati evangelizzati nel V secolo, i monaci e gli studiosi nel Medioevo hanno portato la Buona novella nel continente, contribuendo allo sviluppo della sua tradizione religiosa e accademica. In tempi più recenti, i missionari irlandesi hanno portato il nome dell’Irlanda alle comunità del mondo intero. Questa eredità, insieme alla nostra esperienza di carestie, sottosviluppo ed emigrazione, ci rende consapevoli del fatto che lo sviluppo e la prosperità non sono dei fini in sé. Pur vivendo in una società più pluralistica, che qualcuno oggi definirebbe secolarizzata, la nostra tradizione spirituale resta forte, e ciò si riflette nell’impegno dello stato irlandese a favore dello sviluppo, della convivenza internazionale, e dell’allargamento dell’Ue. Le radici cristiane dell’Europa emergono con grande evidenza in Irlanda. E gli ultimi avvenimenti dell’Ue dicono quanto sia urgente che si abbia una comune anima europea. Nel medioevo l’Irlanda ha contribuito a mantenere vivo il cristianesimo, quando si era quasi spento in Europa. Le nostre radici cristiane sono veramente profonde. L’anno scorso, nella Convenzione europea e nella Conferenza intergovernativa, ho ribadito chiaramente che l’Irlanda appoggiava pienamente l’inclusione di un riferimento all’eredità cristiana dell’Europa nel testo dell’abbozzo del Trattato costituzionale. Il preambolo dell’abbozzo riconosce la centralità dell’eredita religiosa i cui valori sono ancora presenti nel suo patrimonio, insieme a quelli delle sue tradizioni umanistiche e culturali. Molti però desidererebbero un riferimento più specifico a Dio o al patrimonio cristiano europeo; altri vi si oppongono. Come presidente dell’Ue spero di ottenere un risultato che rifletta un’opinione condivisa. Il successo dell’Unione si basa sulla sua abilità nell’allontanare dalla guerra i suoi vicini e nel costruire relazioni di cooperazione. Quando fu creata, pochissimi avevano predetto il suo successo. I valori che hanno ispirato la creazione dell’Ue derivano dalle profonde tradizioni religiose, spirituali ed umanistiche del continente. Nel futuro crescerà l’esigenza di sottolineare questi valori, per non perdere di vista le ragioni del processo di integrazione europeo. DA BRUXELLES Per un continente definitivo Con Romano Prodi si parla d’Europa e solo d’Europa. Nonostante le opposizioni, ha raggiunto risultati notevoli come presidente della Commissione europea. Forse perché la sua visione a lungo termine del continente è largamente condivisa, al di là degli schieramenti politici e delle frizioni che si creano all’avvicinarsi delle elezioni. È a tutti nota la sua convinzione che l’Europa debba avere una forte spinta spirituale per poter realizzare il suo disegno di unità nella diversità, come afferma il motto stesso dell’Unione. La Commissione da lei presieduta sembra aver centrato i due maggiori obiettivi: l’euro e l’allargamento dell’Ue. Quali le sfide di oggi? Mi sembra che le principali sfide vadano in due direzioni. La prima è quella della Costituzione, perché senza di essa continuiamo ad avere un’Europa – per usare un’espressione familiare – provvisoria, una specie di concrezione geologica di diverse regole che però non hanno una loro organizzazione, un quadro di riferimento. La Costituzione, inoltre, ci permetterebbe di guardare più serenamente al lungo periodo. In secondo luogo, è cominciata la tappa più importante e significativa dell’allargamento dell’Unione europea, senza che però si siano ancora definiti in modo completo i suoi confini. Soprattutto, non è stata ancora elaborata la proposta rivolta ai paesi oltre i confini dell’Ue. Le prossime tappe per definire l’identità dell’Unione sono in primo luogo l’allargamento a Bulgaria e Romania, e la concretizzazione della proposta di Salonicco di un allargamento ai Balcani, per completare l’Europa. Rimane poi da prendere la difficile decisione sull’adesione della Turchia: il rapporto sarà presentato alla commissione entro ottobre, e la decisione sull’eventuale inizio dei negoziati, che potrebbero rivelarsi anche molto lunghi, dovrà essere presa dai capi di stato e di governo a dicembre. Tuttavia la grande proposta sulla continuità dell’Europa non si limita all’unificazione del continente, ma si allarga ai paesi limitrofi, per un rapporto più profondo e stretto con l’Unione, che porti alla condivisione di tutto tranne che delle istituzioni. Dalla Russia al Marocco, paese per paese, seguendo i tempi che per ognuno si riveleranno necessari, si aprirà una condivisione profonda sul nostro comune destino, anche se non faremo parte dello stesso parlamento. Cosa vuol dire? Ad esempio, per quanto riguarda i problemi di sicurezza, legati soprattutto al terrorismo, ma anche ai problemi più quotidiani dell’economia e della cultura, senza arrivare a progetti di difesa comune, si potranno avanzare proposte di soft security. Si deve in- somma giungere a una proposta di cooperazione e condivisione con i paesi limitrofi. Gli attacchi terroristici scandiscono la vita della comunità internazionale. L’ultimo vertice europeo ha preso misure atte a dotare l’Europa di strumenti di reazione efficaci. I popoli europei, per la stragrande maggioranza contrari alla guerra, sperano che sia possibile tagliare alla radice la pianta del terrorismo. Prospettiva realista? Vorrei che distinguessimo il problema del terrorismo da quello della guerra. Sul primo, in questo momento dobbiamo essere inflessibili e uniti, mettere in atto tra paesi europei una stretta collaborazione giudiziaria, di polizia e di servizi segreti, di ogni strumento disponibile insomma. Ma ciò non basta, perché serve un’arma politica: capire che esistono delle radici del terrorismo che non possono essere combattute solo con una pur necessaria reazione di polizia. Primo fra tutti il problema del Medio Oriente: se non troviamo una soluzione concreta alla questione, non riusciremo mai a debellare il terrorismo. E non vanno dimenticati gli altri punti caldi, a cominciare dall’Iraq. In secondo luogo, dobbiamo affrontare il problema della povertà, delle differenze stridenti nella distribuzione delle ricchezze. Alcune grandi zone, come la Cina e ora anche l’India, stanno facendo grandi passi in avanti, mentre altre sono assolutamente escluse dallo sviluppo economico: tra esse emerge per gravità la tragedia dell’Africa. Una politica seria di lungo periodo è indispensabile per sradicare il terrorismo. Prossimamente i capi di stato e di governo europei incontreranno i loro colleghi latinoamericani. È auspicabile un legame particolare con questo continente? L’Europa, lo ripeto e lo ripeterò, troverà sempre più la sua identità nell’apertura agli altri continenti. Prendiamo proprio il caso del continente latinoamericano: bisogna confessare, prima ancora di parlare di prospettive, che finora l’abbiamo tenuto lontano da noi per diverse circostanze storiche, più lontano di quanto in realtà non sia. Non abbiamo finora dato risposta al desiderio di Europa che proveniva da laggiù. Il problema, quindi, è quello di dare un quantum più forte alla politica di rapporto con l’America Latina. Abbiamo già rapporti commerciali intensi con alcuni di quei paesi, e speriamo ora di prendere atto, col Mercosur intero, della complementarietà esistente fra Europa e America Latina. Questa intesa è indispensabile, non per fare concorrenza agli Stati Uniti, ma perché una gran parte dei sudamericani si sente europea nello spirito, legata alla cultura europea: se l’Europa non desse una risposta ai loro appelli, risposta in primo luogo economica, l’America Latina si sentirebbe tradita. Siamo già il primo investitore in quei paesi, ma dobbiamo aumentare il contributo, attuare una apertura commerciale coraggiosa. E so che, anche in questi giorni, sono in corso complesse trattative con il Mercosur: rimane aperto il capitolo più difficile da risolvere, quello dei prodotti agricoli. E c’è poi la necessità di un rapporto politico forte: mio sogno era che ciò non avvenisse solo tra singoli paesi, ma con l’aggregazione dei paesi sudamericani. Per questo è molto importante ora stringere il rapporto con il Mercosur, non per escludere gli al- tri, ma per far capire che è finita l’epoca del paternalismo, del colonialismo, dei rapporti bilaterali, mentre è iniziata quella dei rapporti paritari. Sotto la sua presidenza, sono stati creati due gruppi di saggi, sul dialogo culturale nel Mediterraneo e sulla dimensione spirituale e culturale dell’Europa. Quali i frutti? Si tratta di due gruppi separati, ma convergenti, perché sono entrambi strumenti atti a incrementare il dialogo. C’è quello fra di noi – perché anche in Europa il dialogo è una novità -, per irrobustire e animare la nostra Unione. E c’è quello nel Mediterraneo, tra le tre grandi culture monoteiste, con un significato inscindibilmente religioso, culturale e politico. Dal punto di vista intellettuale, i risultati delle due operazioni sono stati di grande importanza. Ma noi non siamo un’accademia, e quindi questi debbono essere frutti utili per darci indicazioni operative sugli strumenti politici di cui l’Europa si deve fornire: i legami culturali, le regole di rispetto e di dialogo, la creazione sia di istituzioni nuove (come la Fondazione del Mediterraneo), sia di cooperazione (come la proposta di una banca per lo sviluppo del Mediterraneo). Tutto ciò grazie ad una nuova tensione al dialogo. In ogni caso, i due gruppi hanno dato e daranno luogo a una serie di riflessioni e di pubblicazioni, per contribuire a dare un’anima all’Europa. Dagli orrori della seconda guerra mondiale, sono sorti da una parte la risposta istituzionale dell’Unione, e dall’altra una convergenza spirituale tra le varie chiese. C’è un legame tra queste due realtà? Come vede l’evento del prossimo maggio a Stoccarda, dove movimenti e comunità di varie chiese si incontreranno, uniti nella diversità, per celebrare l’allargamento dell’Unione europea? Se le dico che l’importanza dell’appuntamento di Stoccarda è enorme, potrebbe pensare che io esageri… E invece no: l’avvenire dell’Europa è legato al cambiamento dei rapporti tra la gente, al confronto dei rispettivi ideali, al dialogo disinteressato, al desiderio di comprensione reciproca sui problemi di fondo. Le iniziative in questa direzione sono ancora poche, anche per le difficoltà oggettive, in primo luogo derivate dalle lingue; sono tuttavia stati fatti passi avanti nella buona direzione. Iniziative come quella di Stoccarda, lo ripeto, sono indispensabili, perché se noi non costruiamo una spiritualità trasversale, l’Europa non sarà quel che deve essere. In questa direzione fortunatamente non si incontrano ostacoli, perché queste iniziative rispondono ad una domanda di cui la gente – e soprattutto i giovani – ha assolutamente bisogno. Sarebbe anche interessante che iniziative come quella di Stoccarda si trasformassero in appuntamenti regolari, che affrontino l’integrazione europea capitolo dopo capitolo, evidenziando le varie articolazioni dei rapporti tra la gente, sempre più trasversali. Tutto ciò è fondamentale, perché l’Europa ha sì compiuto dei passi avanti politici molto importanti; ma siccome la gente è in fondo legata alle tradizioni, ogni novità appare un peso, e va quindi digerita. Questi momenti di confronto disinteressato sono essenziali per trasmettere la sicurezza che il disegno europeo non è strumentale, e che ogni passo verso la coesione viene attuato nel rispetto della natura umana e spirituale delle persone e dei popoli. Questo, mi pare, il significato dell’incontro di Stoccarda, un messaggio perciò di lungo periodo: non si semina erba, ma alberi. È importante, e lo voglio ripetere, che in queste iniziative venga dato un ruolo centrale alle nuove generazioni, che devono crescere avvolte da questi nuovi legami, che superano le antiche barriere. Legami che devono diventare naturali, e non più forzati, come è accaduto per le generazioni precedenti.

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