Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025

Sergio Mattarella alla cerimonia di inaugurazione: la città siciliana comunica «la necessità di ricomporre, di rigenerare coesione e di procedere insieme».
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia d'inaugurazione di Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025, Agrigento, 18 gennaio 2025. ANSA/ UFFICIO STAMPA QUIRINALE/ PAOLO GIANDOTTI

Alla notizia che Agrigento fosse stata scelta come Capitale italiana della Cultura 2025, la prima reazione che giustificava tale onore è stata di ripensare al valore del suo passato di colonia greca diventata faro di civiltà 25 secoli fa. Ma da agrigentino, che da anni non vive in Sicilia, non posso ignorare le grandi contraddizioni che queste città sopporta e che hanno reso questo bene dell’Unesco un luogo di paradossi: l’abuso edilizio del dopoguerra, la crisi idrica, la burocrazia che si muove o si smuove con le “conoscenze”.

Uscendo dalla Sicilia si riesce a capire l’affermazione di Leonardo Sciascia: «La famiglia è lo Stato». Cercare le cause del declino sociale nell’emigrazione, nella mancanza di reti stradali, nella crisi idrica rivelerebbe senza dubbio gli immotivati ritardi da parte delle istituzioni che avrebbero saputo prevenire o frenare certe frane, più gravi ancora di quella che nel 1966 fece scivolare nel nulla un intero quartiere della parte storica della città.

Nella cerimonia di inaugurazione del 18 gennaio 2024, che ha dato l’avvio alle celebrazioni, il presidente della Regione siciliana Renato Schifani e il ministro della Cultura Alessandro Giuli hanno ricordato il valore del filosofo profeta Empedocle, e i più recenti Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello e Andrea Camilleri, coraggiosi interpreti del carattere e della lingua degli agrigentini.

Nelle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non per caso siciliano, trovo il valore che potrebbe essere la chiave di volta, il punto di partenza, l’apertura di una finestra nuova nel destino di una città che ha meritato il riconoscimento. Gli agrigentini nella parola “speranza” del presidente intravedono una via d’uscita, una risposta a domande finora tragicamente messe a tacere.

In un romanzo di Milan Kundera, di cui ho scritto nella mia tesi di laurea, lui dimostra l’inutilità del voler riparare le antiche ingiustizie o di guardare negli occhi i colpevoli quando i tempi sono già cambiati. Parlando con lui quando viveva ancora a Praga, l’argomento fu il disagio creato da un sistema politico.

Dei mali di oggi chi sono i colpevoli? L’urbanistica approssimativa che ha ignorato il deturpamento di quartieri storici della città? Chi ha ritardato le soluzioni alla crisi idrica? Chi non ha saputo rispondere alle esigenze di un turismo che potrebbe essere una delle possibili strade di rinascita? Oggi alla luce del grande riconoscimento, come diceva il presidente, si riapre una speranza che implica la responsabilità di tutti e forse sulle strade che conducono al mare, non vedremo più lanciare sacchetti di immondizia.

I coloni di Rodi avevano scelto questo luogo incantevole per far nascere Akragas una città che Pindaro definì “la più bella città dei mortali” e l’hanno affidata alla protezione di Zeus e della prediletta figlia Atena, dea della saggezza, guerriera e vergine. Per i greci era lei che guidava i giudici nei tribunali.

I giudici di oggi e i sindaci di tutta la provincia hanno accolto le autorità nella Piazza e poi nel Teatro dedicati a Pirandello, in mezzo a una folla festosa e bella.

Foto Pexels

Su quella Piazza sbocca la Via Garibaldi dove sono nato, arteria principale di un quartiere chiamato Rabateddu, (piccolo Rabat). Nelle sue case, nei cortili, ricorda uno dei 13 popoli che hanno abitato questa meravigliosa isola, che diffonde profumo dal cuore di un mare che non è soltanto nostrum, ma appartiene a tanti. La Via, pur deturpata da alcuni spropositati palazzi, lascia sbirciare di tanto in tanto piccole corti tipicamente arabe, dove si aprivano le abitazioni di più famiglie.

La strada conduce al santuario dell’Addolorata, meta ogni sabato delle visite di devoti. Avere due balconi che si affacciano sulla via principale era come occupare un primo posto al teatro perché ci si poteva commuovere il Venerdì Santo, con i simulacri di Gesù che trascina la croce seguito dalla madre, l’Addolorata, ferita come lui dalla condanna di chi aveva concluso che quell’uomo destabilizzava leggi e tradizioni, un giusto che minacciava un mondo ingiusto. Dal balcone si potevano far piovere petali di rose al passaggio dell’ostensorio per la processione del Corpus Domini. Un gioco più profumato dei coriandoli e delle stelle filanti che lanciavamo a carnevale.

E che dire dell’attesissima Sagra del mandorlo in fiore con le sfilate dei costumi folcloristici da tutto il mondo? E nel caldo della prima settimana di luglio, si ripresentava la scena del santo eremita Calogero, con la barba bianca, che passava per le strade per raccogliere pane per gli appestati e la gente, per evitare il contagio, gli buttava il pane dalle finestre. Ora dai balconi cadono come grandine i tipici panini al finocchio selvatico. Mille mani si alzano per raccoglierli con devozione. Nessun pane arriva a terra.

Che festa con gli animali “parati”, agli ex voto per guarigioni miracolose, alla processione della statua portata da uomini robusti che hanno bevuto qualche bicchiere di vino come si può intuire dall’ondeggiamento della statua.

Avendo girato alcuni Paesi dell’Europa e visitato terre più lontane, ho avuto sempre come termine di paragone la mia amatissima Giurgenti con i suoi ardenti colori, con i suoi inconfondibili odori, con lo spazio aperto su un mare di luce senza orizzonti… Da bambino, quando mi è capitato di andare in altre città, chiedevo dove fossero i templi. Sì, perché per me i templi facevano parte integrante della città, di ogni città.

Durante gli studi al liceo classico “Empedocle” scoprivo che certe parole siciliane avevano origine greca, e provavo la stessa sorpresa di quando alle medie, studiando francese, mi stupivo che mia nonna conoscesse certi termini soltanto in francese o che certe consonanti, inesistenti nella lingua italiana, fossero arabe e i cognomi spagnoli.  

Foto Pexels

Ora Agrigento è in scena! I giurgintani (agrigentini) siamo commossi. L’esergo del programma culturale, che elenca giorno per giorno gli eventi raggruppati secondo la cosmogonia di Empedocle, proclama con la forza delle visioni del grande politico e filosofo: «L’accoglienza è ricerca dell’armonia, ma anche accettazione del conflitto come forza necessaria all’esistenza. Queste forze, armonia e conflitto, mescolano gli elementi generativi (acqua, aria, terra e fuoco) dando vita a innumerevoli individualità, ma anche alla natura e al globo intero. Accogliere l’altro, diverso da sé, è esercizio di relazione».

Le parole di Sergio Mattarella che sigillano la nostra speranza, sono sostenute dalle stesse intuizioni di Empedocle: «Agrigento parla all’Italia e all’Europa non solo come spettacolare palcoscenico di Capitale della Cultura, ma con il suo attuale ruolo di sprone per tante altre realtà italiane, comunicando attraverso la simbologia dell’unione dei 4 elementi – scintilla per la nascita di ogni cosa, ma la cui separazione è invece causa di morte – la necessità di ricomporre, di rigenerare coesione e di procedere insieme».

Il presidente concludeva che «essere fedeli alla propria storia significa, appunto, costruire il futuro» e legava a questo futuro la responsabilità di tutti. Anche io mi sento investito da tale accorato suggerimento carico di speranza.

Canali social 

Sito web: agrigento2025.org 

Facebook: Agrigento Capitale della Cultura 2025 

Instagram: @agrigentocapitalecultura_2025 

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