Agli estremi confini del mondo conosciuto

Dal Marocco alle Canarie sulla scorta di un romanzo, “Rex Iuba”, incentrato sull’avventurosa spedizione nell’Atlantico voluta da Giuba II, re di Mauretania, alla fine del I sec. a.C.
VOLUBILIS

È senza confronto Volubilis il sito archeologico romano più famoso del Marocco, oggi inserito nell’elenco Unesco dei patrimoni dell’umanità. In suggestivo isolamento sopra un pianoro alle pendici del massiccio dello Zerhoun, a circa trenta chilometri da Meknès e a una sessantina da Fès, l’antica città che nel suo massimo sviluppo arrivò a comprendere una superficie di quasi 40 ettari parla ancora del suo passato splendore attraverso i templi, i fori, gli edifici pubblici e privati, l’arco di Caracalla, le lussuose domus ornate di mosaici policromi, le botteghe e le necropoli. Già frequentato dall’uomo in età neolitica, il sito subì l’influenza cartaginese per poi prosperare come regno berbero indipendente fino all’epoca in cui cadde sotto l’influenza di Roma.

 

Volubilis, nome che si vuole derivi dal berbero Oualili, con il quale termine si indica l’oleandro che cresce rigoglioso nell’Oued Khoumane, ossia la valle fluviale che lambisce i margini meridionale e sud-occidentale dell’abitato, visse il suo apogeo nel II e III secolo d.C. grazie al suo commercio dell’olio, del grano e degli animali selvaggi (leoni, pantere, elefanti ecc.) destinati ai giochi dell’anfiteatro. Quanto alla popolazione, sappiamo dai documenti rimasti che era un amalgama in cui figuravano romani, galli e genti orientali. Fermiamoci qui, all’epoca romana, senza addentrarci nei secoli successivi.

 

La visita alle imponenti rovine va completata con quella al locale Antiquario e soprattutto al Museo archeologico di Rabat, che custodisce la maggior parte delle statue, dei mosaici e dei reperti provenienti da Volubilis, oltre che da altri siti archeologici del Marocco. Tra le sculture in bronzo spicca il bellissimo busto di un giovane dall’espressione melanconica e dalla capigliatura cinta da una benda, simbolo di regalità: lo si identifica comunemente con Giuba II, figlio di Giuba I re di Numidia e a sua volta sovrano di Mauretania, regno berbero che si estendeva dall’attuale Algeria fino al Marocco e alla parte settentrionale dell’odierna Mauritania, col quale Stato però non va confuso. Quello stesso Giuba che, bambino, dopo la sconfitta del padre da parte dei cesariani, era stato condotto a Roma come ostaggio nel 46 a.C. ed ivi educato “alla romana” nella famiglia di Ottaviano Augusto, per poi tornare a ricoprire in Nord Africa il ruolo di re vassallo dell’Impero dal 25 a. C. al 23 o 24 d.C.

 

 

Grazie a quest’uomo coltissimo, appassionato di studi geografici e naturalistici sull’Africa, autore di trattati sull’argomento purtroppo perduti e gran viaggiatore, la città dell’oleandro prosperò quale capitale – una delle capitali – di un regno largamente aperto alle influenze romane e greco-ellenistiche. Né minore in ciò fu il ruolo svolto dalla bella e raffinata Cleopatra Selene, figlia di Marco Antonio e di Cleopatra VII, ultima regina d’Egitto, pure lei condotta a Roma in tenera età quale preda di guerra e data in sposa a Giuba proprio dal vincitore dei suoi genitori nella battaglia di Azio del 31 a.C.: quell’Ottaviano Augusto le cui arti diplomatiche erano riuscite in tal modo a fare degli eredi dei nemici di Roma altrettanti fedeli alleati.

 

Un personaggio così interessante ha stimolato l’estro narrativo dell’archeologo subacqueo e navale Stefano Medas, che in Rex Iuba, il suo primo romanzo edito da Mondadori, si ispira alla descrizione delle Isole Fortunate fatta da Plinio il Vecchio. Su questo arcipelago atlantico sospeso fra mito e realtà, oggi identificato con le Canarie, il famoso autore della Naturalis Historia attinse informazioni circa la flora, la fauna e gli aborigeni anche dal resoconto di Giuba, che organizzò una spedizione in quella plaga agli estremi confini del mondo conosciuto, se non vi partecipò anche di persona. È questa la verosimile ipotesi sposata da Medas, che ne fa il fulcro del suo romanzo e colloca l’avventuroso viaggio agli inizi del regno del giovane sovrano berbero.

 

 

«I suoi interessi scientifici – commenta l’autore – dovevano rappresentare un forte stimolo in questo senso; è lecito pensare, inoltre, che per suo carattere fosse un uomo propenso all’azione e uno studioso interessato alla conoscenza diretta dei luoghi. Lo confermerebbe il fatto che più tardi, quando era un uomo ormai vicino ai cinquant’anni, partecipò ad una spedizione scientifica che lo tenne a lungo lontano dal suo regno: quella con Gaio Cesare nelle regioni orientali, esperienza da cui prese forma il trattato Sull’Arabia. Non si può escludere, dunque, che già in precedenza avesse preso parte ad altre spedizioni. Gli esploratori di Giuba non furono i primi a raggiungere le Isole Fortunate. Ma furono i primi a condurvi una spedizione sistematica, organizzata da un potere centrale e con precisi intenti di carattere scientifico e strategico. Per quanto grandi possano essere gli errori sulle posizioni e sulle distanze delle isole confluiti nella tradizione pliniana, fu la missione voluta dal re di Mauretania a far entrare l’arcipelago in una vera dimensione geografica, contribuendo ad arricchire quel patrimonio di conoscenze che culminerà nel II sec. d.C. con l’opera di Tolomeo».

 

Con la passione e la competenza dell’archeologo, restituendoci vividi i colori dell’epoca, Stefano Medas ci coinvolge in un itinerario costellato di sorprese e di pericoli che è soprattutto un viaggio dell’anima, dal quale si torna inevitabilmente trasformati.

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