Agenda Mattarella, un anno da non sprecare

Cominciano i mesi cruciali per arrivare alle decisive elezioni politiche del 2023
Sergio Mattarella Roberto Monaldo / LaPresse

Alla vigilia della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, nel collegio di Roma 1 ha votato l’11,33% degli aventi diritto per sostituire un seggio vacante alla Camera. Alle amministrative di ottobre 2021 l’astensione dalle urne, in Italia, è stata del 45%. Sono segnali preoccupanti perché non può esistere una democrazia senza partecipazione.
Ma cosa è la democrazia se non la possibilità per le persone di incidere sul destino comune? Si avverte, dopo le grandi utopie, la sensazione di contare poco davanti a scelte imposte dall’alto. Dalla finanza ai tecnocrati di ogni specie. Una mancanza di sovranità che, in alcuni Paesi, conduce a un nazionalismo che ricorda un passato funestato dalle guerre.
Ma per capire i poteri effettivamente prevalenti in una società attraversata da una lunga crisi economica segnata dal crollo demografico, occorre aprire gli occhi sulla presenza delle mafie, come invita a fare il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Ad inquietare è il collegamento tra i capitali illeciti e la massoneria cosiddetta deviata.
Con il costo del gas alle stelle e il conseguente aumento dei prezzi pure per pane e pasta, i conciliaboli segreti dei partiti per eleggere il nuovo presidente della Repubblica hanno offerto l’immagine di una classe politica separata dalla realtà e dedita a congiure di palazzo.

La stabilità in un mondo incerto. L’effetto Draghi

Alla fine, la rielezione di Mattarella è stata dettata dalla necessità di dare “stabilità” al governo di Mario Draghi intento ad applicare un programma destinato a incidere sul lungo periodo. Basta andare al suo discorso di insediamento del febbraio 2021 per capire la portata delle riforme strutturali avviate, dal fisco alla giustizia, oltre alla decisiva gestione delle risorse del Piano di ripresa per il quale si è deciso di chiedere l’intero ammontare stabilito dall’Europa. Sia i soldi a fondo perduto che quelli in prestito che fanno crescere il nostro già enorme debito pubblico.

È perciò necessario avere in Italia un interlocutore autorevole nei confronti dell’Unione europea in caso di nostalgia per il ritorno all’austerità depressiva che stroncherebbe la nostra economia. È nota l’importanza dell’articolo di Draghi sul Financial Times del marzo 2020 per convincere l’Ue della necessità di rispondere alla tragedia della pandemia con l’aumento del debito pubblico, necessario per impedire una recessione devastante come quella avvenuta negli anni ’20 del secolo scorso che scatenò la seconda guerra mondiale.

Alcuni hanno letto in quell’intervento dell’ex governatore della Bce, del quale nessuno nega la competenza, l’influenza del suo primo maestro, Federico Caffè, figura di riferimento dell’economia attenta alla giustizia sociale. Ma una diversa interpretazione dell’azione di Draghi lo pone come il garante dei poteri della grande finanza. Di sicuro la nomina di Draghi a capo dell’esecutivo da parte di Mattarella, ha ribadito la scelta dell’Italia a fianco degli Usa, dopo i segnali di attenzione alla Cina e alla Russia nei precedenti governi a guida Giuseppe Conte.

La “stabilità” della coppia Mattarella-Draghi è richiesta dai nostri alleati atlantici, in particolare davanti ai venti di guerra in Europa sulla questione Ucraina. Ma il “duo” è destinato sciogliersi nella primavera del 2023, quando si andrà al voto per eleggere un Parlamento ridotto nel numero dei componenti in forza della riforma voluta dal M5S: i deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.
Se, come prevedibile, resterà l’attuale legge elettorale, chi andrà a votare si troverà di fronte a liste bloccate di candidati senza possibilità di scelta tra gli stessi. C’è anche il rischio che una coalizione sia così sovrarappresentata in Parlamento, da apportare, da sola, modifiche alla Costituzione. Un colpo di grazia alla partecipazione come evidenziato più volte su Città Nuova per sottolineare l’importanza di un buon sistema elettorale per garantire la democrazia.

Programmi chiari per scelte consapevoli

Ma a che serve votare se non è chiara la visione di società che si vuole sostenere? Il discorso di reinsediamento di Mattarella è stata una lezione sulla Costituzione a partire dall’articolo 3, che pone come compito della Repubblica la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Il presidente rieletto per altri 7 anni ha posto gli obiettivi per rendere effettivi quei valori fondamentali che restano da realizzare. Ad esempio, l’azzeramento delle morti sul lavoro si scontra con la tragica media di 3 “omicidi bianchi” al giorno in Italia. Il contrasto delle diseguaglianze può forse essere letto come un concetto di parte, ma è un cardine della Costituzione intrisa di quel pensiero sociale cristiano di cui Mattarella è espressione.

I mesi che ci separano dalle elezioni politiche saranno decisivi per affrontare le questioni reali che dividono trasversalmente le forze politiche all’interno del governo (Lega, Forza Italia, Iv, M5S, Pd, Leu) come all’esterno (Fratelli d’Italia, Sinistra italiana, dissidenti ex 5 Stelle).

È evidente, ad esempio, la spaccatura tra il mondo ambientalista nel suo complesso e il ministro Roberto Cingolani sulla gestione della transizione ecologica. Esiste un forte dissidio sulle politiche industriali tra chi ritiene decisivo l’intervento pubblico in economia e chi assegna allo Stato il solo compito di regolare il mercato. È indicativo che sia stato il Copasir (organo di controllo parlamentare dei servizi segreti) a segnalare il rischio di perdere in Italia la produzione strategica di Stellantis, società nata dalla fusione tra ex Fiat e Peugeot.

Ci sono, poi, grandi partite aperte come, ad esempio, il controllo della società Generali o di Telecom, che sfuggono alla conoscenza comune. È forte la contesa sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali contenuta nel decreto sulla concorrenza che, di fatto, vanifica il referendum favorevole alla gestione pubblica dell’acqua.

Le migrazioni sono il tema più divisivo tra chi insiste sull’accoglienza condivisa e chi, di fronte alle barriere che si alzano in Europa, afferma che dobbiamo “fermare l’invasione” per non essere il “ventre molle” del continente.

Sono divergenti le opinioni sugli investimenti effettivamente destinati alla sanità pubblica, oltre l’emergenza Covid, vista la persistente carenza di personale sanitario stabile, in particolare degli infermieri. Il dissidio sulla riforma della Giustizia si palesa con la proposta di un referendum da parte della Lega assieme ai radicali. Le polemiche sull’alternanza scuola-lavoro, insorte con la morte del giovane Lorenzo Parelli, hanno fatto emergere un’imprevista protesta giovanile verso le politiche di precarizzazione del lavoro.

Sempre a proposito del Pnrr, i sindaci del Meridione lamentano di non avere le strutture necessarie per gestire il 40% delle risorse europee teoricamente destinate al Sud, finendo per consolidare una pericolosa frattura del Paese.

Aumentano, invece, i soldi destinati agli armamenti senza un vero dibattito sul ruolo dell’Italia nel contesto internazionale dopo il fallimento dell’intervento occidentale in Afghanistan. Restano sempre sul campo le polarizzazioni su temi laceranti come, ad esempio, la legalizzazione dell’eutanasia.
Serve, quindi, a poco discutere di nuove coalizioni senza affrontare questioni reali come quelle esposte. Un primo test si avrà con i 970 Comuni che andranno al voto tra maggio e giugno 2022.

Perché, di fronte al pericolo, l’unità può essere “un dovere” come ha detto Draghi nel febbraio 2021, ma deve essere una scelta libera e consapevole davanti a chiare ed esplicite proposte politiche. Un anno da non sprecare.

La necessità di un Paese credibile

di Iole Mucciconi
Dirigente presso organi centrali dello Stato. Esperta in questioni giuridiche e istituzionali

La rielezione del presidente Mattarella non si può archiviare come una parentesi trascorsa la quale la vita politica può riprendere il suo tran-tran, dopo aver tirato un profondo sospiro di scampato pericolo. Il piccolo cabotaggio di tanti protagonisti potrebbe dare la sensazione che l’atteggiamento sia proprio quello, ma la forza del passaggio storico entro cui ci troviamo lo impedisce, inesorabilmente.
Accanto alla pandemia che continua a mordere, all’inflazione e al caro energia che fiaccano famiglie e produzione, alle migliaia di esseri umani che si ritrovano allo sbando nella speranza di migrare, alle transizioni epocali da accompagnare e a tanto altro ancora, arrivano anche i venti di guerra. Che non si sa come affrontare davvero. Governare vuol dire più che mai coniugare una grande capacità di stare dentro il quotidiano e le imminenti necessità, mantenendo sguardo e visione sul mondo e sulla storia.
L’Italia deve poter svolgere in pieno il suo ruolo sullo scenario dell’Europa e del mondo, ma per poterlo fare con autorevole incisività deve saper essere un Paese-comunità funzionante. Innanzitutto, le sue istituzioni devono essere credibili sotto il profilo democratico e il primo indizio di credibilità è l’efficienza della democrazia. Se essa, infatti, non è in grado di assicurare «percorsi di garanzia democratica e, insieme, tempestività delle decisioni», per dirla con le parole del presidente Mattarella, dietro l’angolo ci sono le derive autarchiche e liberticide.
Ma il grado di efficienza della nostra democrazia, non possiamo nascondercelo, è preoccupante. Non si ragiona abbastanza sulla commistione dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, e sulla conseguenza più perniciosa: la crisi dello stato di diritto, pietra angolare della libertà e dell’uguaglianza e perciò anche presidio di fraternità effettiva. Il Capo dello Stato, mostrando di voler essere tutt’altro che il bis di se stesso, ha dedicato parole chiare a questi aspetti fondativi della nostra convivenza civile e comunitaria: basti pensare al forte richiamo alle problematiche della magistratura, ma non solo (tout se tien). Ha anche detto: «Non si può sfuggire alle sfide della storia e alle relative responsabilità»; era un altro contesto ma sono parole che appartengono a tutta la politica.

 

Dopo Mattarella… Mattarella con un’agenda sociale molto forte

Roberto Rossini
Portavoce Alleanza contro la povertà

I partiti non hanno trovato la quadra per eleggere il capo dello Stato. Brutta notizia: la scelta del presidente della Repubblica ha un valore simbolico altissimo e il mancato accordo, nonostante le apparenti disponibilità, segnala una difficoltà che si colloca nell’area dei fondamenti della Repubblica, sul cosa ci unisca al di là delle differenze.
Non mancano le persone degne di questo incarico: manca la volontà di fare un patto politico all’altezza del mutamento che viviamo o quantomeno della durata del Pnrr (fino al 2026). Invece niente, si è derubricata la questione presidenziale: essendo un’elezione, si è fatto un casting. I limiti di alcuni leader sono stati compensati dall’azione di tanti parlamentari che hanno “annusato l’aria” e iniziato a votare chi ha dimostrato di saper presiedere la Repubblica.

Dal canto suo Mattarella, nel discorso di rielezione, non è stato tenero: ha ripetuto per ben 18 volte la parola “dignità” e ha tracciato un’agenda che – per quanto ci riguarda direttamente, ossia il sociale – dice cose con chiarezza. Anzitutto ha affermato un principio: la modernità non regge senza un’adeguata lotta a disuguaglianze e povertà, è l’asse portante delle politiche pubbliche. La pandemia ha aggravato le disuguaglianze esistenti. La disuguaglianza, come un virus, entra nei tessuti del corpo sociale e lo danneggia in modo duraturo e dunque la terapia a contrasto deve essere efficace, robusta e costante. Non si può accettare che le disuguaglianze siano il prezzo da pagare per la crescita economica, perché ciò che ci interessa non è la crescita, ma lo sviluppo: lo sviluppo armonico di tutto il corpo sociale.

Tra le malattie sociali su cui intervenire subito, in questo ultimo scorcio di legislatura, elenchiamo almeno le seguenti: il lavoro (le donne e i giovani, il reddito familiare complessivo, le morti e gli infortuni, le pensioni), la povertà e le povertà (anche la non autosufficienza), la scuola e la formazione (il duale, gli Its, la transizione digitale). Su questi temi, più si ritarda più si fanno danni. Il Parlamento ha dimostrato una vitalità che ora va messa alla prova delle emergenze sociali. Dai, un anno e poi si tirano le somme!

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