Afriche, basta paternalismi
È uno stillicidio di notizie dolorose: la tragedia del Marocco e quella della Libia, i golpe in Nigeria e in Gabon, le crisi economiche in Zimbabwe e Madagascar, le guerre in Etiopia e Sudan… Ma non c’è da commiserare, né da usare toni paternalistici, nemmeno da agire con l’esclusiva filosofia dell’aiutare. L’Africa, anzi le Afriche, hanno bisogno di rapporti alla pari, di partenariato, di progettualità comune, senza maledizioni e senza accondiscendenze.
Nel corso di un recente dibattito nel quadro di un progetto avviato 4 anni fa dall’Istituto universitario Sophia e da un gruppo di suoi ex studenti delle Afriche, Together for a New Africa (T4NA), si parlava di canali che siano in grado, col tempo ovviamente, di avviare una nuova stagione nelle relazioni tra Europa e Afriche. Con una buona dose di ottimismo, condivisa peraltro da autorevoli esponenti della geopolitica internazionale anche nostrani, si conveniva sul fatto che siamo alla vigilia di un grande cambiamento: gli ultimi colpi di Stato che hanno avuto luogo nella parte francofona dell’Africa, mostrano che una pagina è stata girata, e forse siamo alla vigilia della fine reale del colonialismo. Quel che cambia è soprattutto l’atteggiamento europeo verso l’Africa: non più la dominazione politica o economica, e nemmeno culturale, ma il partenariato, che domanda una reale uguaglianza.
Quali sono questi canali aperti, che potrebbero cambiare il corso della storia? Innanzitutto, il canale attualmente più importante e più mediatizzato, e anche più violento, quello delle migrazioni, che passano soprattutto per il Niger, poi prendono la via della Libia, dell’Algeria e del Marocco. Ciò domanda un’attenzione particolare, per delle questioni umanitarie ed economiche. Un altro canale aperto è quello economico, che fino ad ora conosce un saldo assolutamente favorevole all’Europa. È una questione aperta, molto grave, pensiamo alle imprese che operano nella regione dei Grandi Laghi, per la raccolta delle terre rare, spesso in legame dubbioso con milizie paramilitari che operano nell’ombra.
Un canale sostanzialmente generatosi nel XX secolo, e che ha conosciuto un grande sviluppo nel primo quarto di questo secolo, è quello delle ONG − delle associazioni umanitarie, della cooperazione internazionale, della sanità in particolare −, un po’ dappertutto, con organizzazioni grandi e piccole. Tra i mille esempi, ne ricordo uno in Togo, un partenariato tra un ospedale locale e uno di Roma, con dei risultati impressionanti, con delle ricadute anche sul sistema educativo. Naturalmente, questa nuova diplomazia non scalza quella tradizionale, che non può essere abbandonata e che arriva a risultati positivi ma anche a delle impasse, come in Marocco per il terremoto di queste settimane.
Non si possono poi sottacere due canali da sempre aperti, ma che dopo la pandemia hanno conosciuto uno sviluppo a tratti straordinario: il canale turistico e quello culturale. Il primo mostra che alcuni Paesi, come ad esempio la Namibia e il Botswana, ottengono buoni risultati economici grazie all’entrata del turismo. Per il canale culturale, bisognerebbe che sia più sviluppato, ma c’è un’attenzione reciproca che sta comunque crescendo.
Due canali che risalgono nelle loro origini al periodo coloniale sono quelli religioso e militare. Il primo vive momenti difficili, come ad esempio in Lesotho, dove la forte presenza cattolica ha delle enormi difficoltà a continuare, un canale che è sconvolto attualmente dall’arrivo delle Chiese protestanti e dal proselitismo islamico. Per quanto riguarda il canale militare, è un canale al ribasso, malgrado i grossi problemi del Sahel, del Sudan e del Sud Sudan, malgrado la Libia, malgrado la Brigata Wagner e il Daesh. Aumenta la cooperazione militare, ma dal lato della formazione dei soldati.
Due canali mi sembrano però assolutamente in ascesa, quello mediatico e quello del digitale. Il primo − ad esempio nel terremoto in Marocco e nelle inondazioni in Libia − sta funzionando egregiamente. Le grandi catene mediatiche europee hanno cominciato a riaprire delle sedi di corrispondenza in Africa, ma anche il contrario è vero: delle reti mediatiche africane cominciano ad aprire in Europa. Per il canale digitale e per l’intelligenza artificiale, trattiamo del presente e dell’avvenire. Recentemente sono stato in Sudafrica per un seminario universitario sull’intelligenza artificiale: naturalmente le grandi imprese sono negli Stati Uniti e in Cina, ma in questo campo le iniziative di piccoli gruppi geniali sono promettenti.
Ecco i 10 canali che mi sembrano essenziali tra l’Europa e l’Africa in questo 2023 pieno di speranza e di disperazione.
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