Africa: intelligenza artificiale e sicurezza alimentare
La conferenza annuale sul cambiamento climatico Cop29 ha chiuso i battenti la scorsa settimana, concentrandosi ancora una volta, tra le altre cose, sul modo in cui gestiamo la terra e alimentiamo la popolazione mondiale, nonché sulla pressione che esercitiamo sugli ambienti naturali in questo processo. Sappiamo che i cambiamenti climatici colpiscono più di altre le popolazioni impoverite, lasciando ampie zone dell’Africa particolarmente vulnerabili.
Nel gennaio di quest’anno, Tafadzwanashe Mabhaudhi, esperto di cambiamenti climatici, sistemi alimentari e salute, ha scritto in un articolo: «Storicamente, l’Africa aveva 30 mila specie di piante commestibili, e 7 mila erano tradizionalmente coltivate o raccolte per produrre cibo. Il continente è un tesoro di agrobiodiversità (una diversità di tipi di colture e animali) e i suoi Paesi potrebbero facilmente sfamarsi».
Con l’evoluzione della società e dell’agricoltura, molti alimenti che definivano le diete e il senso di sé nel continente sono andati perduti. Molte piante sono oggi considerate specie vegetali trascurate e sottoutilizzate. La conoscenza della loro produzione sta lentamente scomparendo. Il professor Mabhaudhi ha dichiarato di aver esaminato gli studi e le politiche relative alle piante alimentari selvatiche, ai loro valori nutrizionali, e ha scoperto che molte specie di colture sottoutilizzate, ma nutrienti e resistenti, potrebbero essere coltivate per porre fine alla fame in Africa. Tra queste, la noce di Bambara, il cowpea, il pisello piccione, il miglio, il sorgo e le verdure a foglia africane come l’amaranto e la senape selvatica.
«I nostri risultati identificano colture nutrienti che possono tollerare il caldo e la siccità e che potrebbero essere piantate dai piccoli proprietari su terreni non adatti alla monocoltura di massa», ha dichiarato.
Muhammad Nakhooda, professore associato della Cape Peninsula University of Technology (Sudafrica), a sua volta sostiene che l’Intelligenza artificiale può aiutare a sviluppare colture resistenti al clima dell’Africa, ma non dovrebbe essere lasciata nelle mani delle aziende. Nel numero della scorsa settimana di Conversations ha scritto: «Sono un biotecnologo vegetale che lavora con team di specialisti per identificare e propagare specie vegetali con geni superiori. Lo facciamo per le esigenze di sicurezza alimentare e di conservazione nel contesto dei cambiamenti del clima».
Nakhooda spiega che un’equipe dell’Università di Città del Capo dove lavora cerca i geni che sono resistenti ai cambiamenti climatici e poi studia i modi per preservarli. Tra queste piante vi sono specie arboree in via di estinzione e molte verdure a foglia indigene africane sottoutilizzate. «La nostra ricerca ci ha portato a soluzioni ingegnose per aumentare la quantità di cibo che possiamo coltivare con risorse in diminuzione. Ad esempio, abbiamo sviluppato programmi di riproduzione per generare alimenti più resistenti, succulenti, duraturi e arricchiti. Con i progressi della biotecnologia, siamo anche in grado di modificare i geni per fortificare le piante o renderle resistenti ai parassiti».
L’intelligenza artificiale, secondo Nakhooda, permette di esternalizzare «i nostri problemi più complessi in algoritmi di apprendimento automatico. Ciò significa che saremo in grado di prevedere e identificare aspetti preziosi nelle piante molto più facilmente, permettendoci di costruire colture resilienti che possano crescere in quasi tutti i climi».