Afghanistan, i talebani riprendono Kabul. Civili in fuga
Dopo 20 anni di una guerra che in tanti pensavamo in difesa dei moderati, dei diritti delle donne, per sostenere la libertà e i diritti umani, in soli 3 giorni in Afghanistan la situazione è completamente cambiata. Kabul non ha resistito per i 90 giorni annunciati: i talebani, in ciabatte e senza nessun appoggio aereo, l’hanno circondata la notte del 14 agosto e la mattina del 15 sono entrati in città, praticamente senza sparare un colpo.
Di fatto, il governo eletto dell’Afghanistan guidato dal presidente Ashraf Ghani ha negoziato la resa, evitando ogni combattimento, permettendo a chi voleva di andarsene e ai talebani di salvare la faccia, apparendo più civili di quanto li si ritenesse: sono entrati a Kabul senza uccisioni sommarie, vendette e spargimento di sangue, e si sono insediati senza colpo ferire. Solo 3 giorni prima, il 12 agosto, un portavoce della coalizione a guida Usa aveva dichiarato che Kabul non sarebbe caduta tanto facilmente e che era in grado di resistere per almeno 90 giorni: da ricordare che le forze governative afghane erano dotate di un buon supporto di elicotteri forniti dalla Nato. Elicotteri che sono passati direttamente nelle mani dei talebani!
In pochi giorni, le capitali delle province più importanti, dai nomi familiari anche alle nostre orecchie, come Kandahar, Lashkar Gah ed Herat, si erano arrese quasi senza colpo ferire. Mentre il Dipartimento di Stato americano dichiarava che la caduta di Kabul non era così scontata, le città si arrendevano ai telebani una dopo l’altra, ad un ritmo incredibile.
L’accostamento della caduta di Kabul con la famosa caduta di Saigon del 1975 ha iniziato a comparire sulle prime pagine dei maggiori quotidiani statunitensi, suscitando l’apparente irritazione di Washington: “Non si tratta di una ripetizione della caduta di Saigon del 1975, in quanto lo scenario è ben diverso”, ha affermato il segretario di Stato Usa, Antony John Blinken.
A molti è tornata alla mente l’immagine dell’elicottero sul tetto dell’Ambasciata Usa a Saigon, con una fila interminabile di vietnamiti che sgomitavano per salirvi, che ancora oggi rievoca dolore ed imbarazzo nella memoria collettiva statunitense. No, la resa di Kabul non è stata una caduta: non ci sono stati i carri armati che sfondavano i cancelli del palazzo presidenziale, ma semplicemente centinaia di talebani in ciabatte e male in arnese che hanno tranquillamente preso possesso dei ministeri e del palazzo presidenziale, perfino del tavolo di lavoro del presidente Ashraf Ghani, che a quel punto era già in Tajikistan, dove si faceva fotografare.
Fino ad ora, la presa di Kabul ha evitato saccheggi ed esecuzioni sommarie. Sta di fatto che in un batter d’occhio l’occupazione dell’Afghanistan da parte degli Usa e delle truppe Nato è terminata: ma non per una sconfitta o dopo “aspri combattimenti per difendere il futuro del Paese”, ma semplicemente, troppo semplicemente, per rinuncia ai combattimenti. Uno shock per l’Occidente? Per la gente comune, probabilmente sì, ma c’è da dubitare che lo sia stato veramente per l’Amministrazione americana e per la Nato.
La visita del mese scorso del presidente afghano a Biden, nell’ufficio ovale di Washington, potrebbe essere riletta alla luce di quanto appena accaduto e dare una spiegazione differente, probabilmente, al ritiro improvviso delle truppe Usa che hanno abbandonato la base militare di Bagram, letteralmente dal giorno alla notte, e probabilmente all’insaputa dell’esercito afghano.
Secondo alcuni analisti politici, la chiave di lettura degli eventi accaduti nei giorni scorsi è da ricercare proprio in questo ritiro immediato dei marines dall’Afghanistan. Difficile credere che l’intelligence americana non fosse al corrente dell’imminente calata dei talebani su Kabul: forse si è optato per un ritiro rapido anche per evitare scontri armati in una città di 5 milioni di abitanti.
Ora si ricomincia con un nuovo Afghanistan, con le restanti truppe straniere che se ne stanno andando e con l’evacuazione in corso del personale delle varie ambasciate (esclusa quella russa, naturalmente) e di tutti coloro che non vorranno o potranno rimanere nel nuovo Emirato islamico dell’Afghanistan.
I talebani, attraverso il loro portavoce a Doha, Shail Shaheen, hanno assicurato che coloro che se ne vogliono andare, potranno farlo. E che per quanto riguarda loro, i talebani, avvieranno subito un dialogo con le figure importanti dell’Afghanistan, ovvero i capi tribù, senza tenere in alcuna considerazione gli amministratori precedenti.
Mentre le polemiche su questo ritiro improvviso divampano, molte domande restano, e molte altre sorgeranno presto: che tipo di governo imposteranno i talebani? L’Afghanistan tornerà ad essere la base del terrorismo mondiale? Noi italiani possiamo continuare a piangere coloro che hanno lasciato la vita tra quelle montagne: 53 morti e 700 feriti è il tributo pagato dai nostri soldati in questi anni.
Gino Strada, appena scomparso, che conosceva molto bene l’Afghanistan e la sua gente, che ha curato tutti, a qualsiasi gruppo etnico appartenessero, ha detto una frase che penso ci possa aiutare a capire cosa sia la guerra, questa come tutte le altre: “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.