Afghanistan: scuola e istruzione femminile

L’Afghanistan ne fornisce una fotografia preoccupante. Paese capolista nella disparità di genere: secondo i recenti rilievi dell’Unicef 1,5 milioni di bambine afghane non hanno accesso alla scuola elementare.
Ricorderemo che, appena ritornato al potere, nel 2021 il regime talebano aveva vietato a bambine e ragazze al di sopra dei 12 anni di frequentare la scuola, con serie conseguenze.
Il rapporto 2024 dell’agenzia delle Nazioni Unite sulla parità di genere ne indica alcune: alto rischio di sfruttamento, matrimoni forzati, violenza domestica, ansia e problemi di salute mentale.
A lungo termine tutto ciò si rifletterà sulla composizione della società che sarà priva di donne insegnanti, operatrici sanitarie e medici, limitando a cascata l’opportunità per donne e ragazze di accedere all’istruzione a ai servizi sanitari, che nel paese possono essere offerti alle donne solo da donne. Preoccupazione condivisa dagli attivisti di Human Rights Watch: la società afghana e il paese stesso non si potranno riprendere mai del tutto per la perdita di un numero così consistente di future professioniste.
Ci sono poi aspetti, ben più gravi della sola – di per sé già allarmante – dispersione scolastica, che rattristano in modo particolare. Molte famiglie, infatti, affrettano le nozze delle proprie figlie per evitare di vederle unite ad un combattente talebano.
Il già citato rapporto delle Nazioni Unite rileva che «il divieto all’istruzione delle ragazze afghane dopo la scuola primaria è associato ad un aumento del 25% del tasso di spose bambine. Ciò significa che il 37,5% delle ragazze afghane è a rischio di matrimonio forzato». Colpisce in questo contesto un’espressione usata dalle Nazioni Unite che definisce il Governo talebano afghano un «cimitero di speranze».
Nonostante tutto, anche in questo caso calza a pennello il detto popolare «la speranza è l’ultima a morire». Al di là di numeri e proiezioni, infatti, ci sono ragazze e donne coraggiose che non si rassegnano. Realizzano scuole clandestine, studiano con i pochi mezzi che hanno, resistono. Ci sono donne afghane che dall’estero sostengono le proprie connazionali mantenendo alta l’attenzione dell’opinione pubblica e della cooperazione internazionale.
Lo scorso aprile Zerka Malyar – laureata in legge e scienze sociali all’università di Kabul, ex procuratore della città e attivista a sostegno dei diritti delle donne, ora residente a Vienna − ha intrapreso una missione audace. Il 13 aprile scorso è volata a Kabul con una delegazione di 12 membri provenienti dalla diaspora afghana in Inghilterra e nell’Unione europea, per confrontarsi direttamente con la leadership talebana.
Obiettivo: sostenere la ripresa dell’istruzione femminile nel paese e confrontarsi con i funzionari talebani sulle questioni critiche delle libertà civili delle donne. Sorprendenti gli incontri avuti con alcune importanti figure chiave dell’Emirato Islamico. Disposti ad incontrare una donna afghana indipendente, questi uomini hanno mostrato un lato vulnerabile di fronte ad una situazione che tocca anche le loro famiglie.
Sincerità? Cambio di attitudine del regime? Pare di no, a tirare i fili è comunque il massimo esponente del potere, Hibatullah Akhundzada, fermo nelle sue posizioni intransigenti.
Ma le tante le donne che non si fermano perché credono nel ruolo cruciale di voci indipendenti per restituire fiducia agli afghani disillusi hanno innescato un processo. Sarà la loro costanza, sostenuta da una comunità internazionale sensibile e attiva, a produrre un cambiamento che viene dal basso e che, come afferma Zerka Malyar, «questa nazione merita». Merita la pace e il diritto a vivere con dignità, come ogni popolo.