Afghanistan, ne valeva la pena?

Dopo 20 anni di occupazione dell’Afghanistan, in queste settimane anche le truppe della coalizione internazionale se ne stanno andando.  
Afghanistan AP Photo/Rahmat Gul

Diceva un amico di origini ebree nato in Terra Santa duemila anni fa: “Dai frutti si riconosce l’albero”. Se cercassimo di riconoscere che tipo di albero aveva tentato di mettere radici in Afghanistan dopo l’11 Settembre 2001, beh, non sarebbe difficile farsi un’idea dal tipo di frutti, o almeno possiamo provarci.

La coalizione a guida statunitense ha speso in questi anni quasi un trilione di dollari in armamenti, praticamente andati in fumo, sparati insomma, a esclusivo vantaggio delle aziende del settore militare, comprese quelle dell’aeronautica alleata anche di casa nostra; dal 2001, quando iniziò l’intervento Usa, 2.300 militari Usa, uomini e donne, hanno perso la vita e almeno 20 mila sono stati feriti.

Sono morti anche circa mille soldati alleati di vari Paesi, anche italiani. Le stime sui morti delle forze di sicurezza afghane sono poco chiare: secondo alcune fonti sarebbero intorno ai 60 mila; per quanto riguarda i civili, circa il doppio: 120 mila persone uccise, tra attacchi notturni, bombe cadute per errore sulle case dei civili, attacchi terroristici, auto bomba e potremmo continuare ben oltre a descrivere i vari tipi di attacchi e di danni collaterali sulla popolazione.

Ma in Afghanistan la guerra non c’è solo dal 2001, perché prima c’erano i sovietici per più di 10 anni. Come rileva Emergency: «In più di 40 anni, in Afghanistan la guerra ha causato un milione e mezzo di morti, centinaia di migliaia di feriti e mutilati, oltre quattro milioni di profughi… E sul terreno c’è ancora l’eredità delle guerre precedenti: mine antiuomo e ordigni inesplosi continuano a mutilare bambini e adulti, soprattutto civili».

Una carneficina, una vera carneficina sulla quale è doveroso  chiederci: ne valeva la pena? Qualcuno sostiene che Osama Bin Laden è morto e Al Qaeda non lancia più attacchi dall’Afghanistan alle ambasciate Usa e al resto del mondo. Chiedo scusa, ma mi sembra una valutazione un po’ semplicistica: oggi non solo i talebani hanno pieno controllo delle province del sud del Paese, e i terroristi dell’Isis hanno già ritrovato in Afghanistan nuovi spazi per crescere e riorganizzare la loro forza di distruzione senza guardare in faccia a nessuno.

Una domanda viene spontanea: la donna ha un ruolo migliore di quello che aveva 20 ani fa, oppure deve continuare ad andare per le strade sotto il burka? E l’altra domanda che è doveroso farci: ci sono più scuole, università, luoghi e strumenti di crescita democratica del paese? E le donne vi hanno accesso?

Perchè la libertà si misura in sapere, conosceneza, riconoscimento dei diritti dei più deboli, delle minoranze religiose, dei disabili. In ultima analisi, l’Afghanistan è migliore di quello di 20 anni fa, o del periodo dell’occupazione sovietica dal 1979 al 1989?

Domande sicuramente a cui non è facile rispondere e che meritano un approfondimento da parte di ciascuno di noi. Certo è che la cultura fa paura  a chi vuole dominare con la forza delle armi: è sempre stato così, perchè un giovane popolo che studia, un giorno vorrà la libertà. Un popolo come quello Afghano seduto su una miniera di svariati tipi di minerali di grande valore, per intenderci, con una posizione geografica invidiabile (in mezzo all’antica via della seta, tra Iran, Pakistan e i Paesi centro asiatici emergenti (ex repubbliche sovietiche). Nel corso dei secoli, gli afghani non si sono mai piegati all’occupazione delle varie potenze di turno che ne hanno tentato la dominazione.

Le tribù che compongono il Paese, sono i veri signori dell’Afghanistan, e gli invasori hanno sempre dovuto fare i conti con una forte tradizione, talvolta anche più forte dell’Islam. Una cosa è certa, come riportato da fonti dell’intelligence di vari Paesi: una volta che (a settembre 2021) le forze della coalizione internazionale saranno partite, come accadde in Cambogia ed in Vietnam, giusto per portare due esempi della regione, Al Qaeda ed ora anche l’Isis avranno le mani libere in Afghanistan, e c’è pericolo di un ritorno al passato se non addirittura peggio. Dopo tanto denaro speso e tante vite perdute. Le sei basi militari alleate saranno abbandonate e presto, c’è da scommetterci, saranno di nuovo occupate. Al momento nelle basi ci sono tonnellate di rifiuti che vengono bruciati e abbandonati: i materiali riutilizzabili in termini di materiale bellico, sono già in viaggio.

Tonnellate di residuati vengono abbandonati agli afghani, che si stanno dividendo ogni cosa riutilizzabile e rivendibile. La stessa storia che accadde in Vietnam, dopo la sconfitta statunitense: per decenni i vietnamiti hanno smembrato vecchi aerei americani, carri armati danneggiati e camionette abbandonate.

Sembra quasi che della democrazia non rimangano che rifiuti senza valore, o da rivendere come ferro vecchio. Speriamo che la prossima volta invece di armi e rifiuti arrivino scuole, medicine e cibo. Avevo 8 anni quando mi chiedevo:Perchè non si vende un B52 e si dà da mangiare a chi ha fame?”. Oggi, a 60 anni quasi compiuti, continuo a domandarmi la stessa cosa, ed aspetto ancora la risposta.

 

 

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons