Affido dei bambini e unioni civili

Con la recente produzione normativa, l’istituto dell’affido, oltre che orientato al reinserimento del minore nella famiglia originaria, può costituire un primo passo verso l’adozione da parte della famiglia affidataria. Rischi e ambiguità della proposta di legge sulle unioni civili
mano nella mano

Il Disegno di legge sulle unioni civili, molto dibattuto sia in Parlamento che nei media in queste settimane, tratta tra gli altri un aspetto particolarmente delicato e controverso, riguardante i bambini: la possibile adozione, per le coppie omosessuali, del figlio biologico di uno dei due partner (stepchild adoption) o, come propongono altri, l’affido rinforzato. Per capire meglio gli aspetti giuridico-sociali di queste proposte abbiamo chiesto un parere ad Adriana Cosseddu, docente di diritto penale all’università di Sassari.

 

Quale è oggi il significato dell’istituto dell’affido?

«Sono state recentemente approvate la Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. Come conseguenza l’affido, che dovrebbe avere come obiettivo il rientro nella famiglia d’origine, oggi consente l’adottabilità del minore da parte della famiglia affidataria, in ragione di una “continuità affettiva”. Questo diventa un diritto riconosciuto al minore. Il Giudice, quindi, nel decidere sull’adozione dovrà tener conto delle relazioni stabili e durature e dei legami affettivi significativi».

 

Questo cosa significa?

«Significa prima di tutto che l’affido si rafforza come piano inclinato verso l’adozione, nell’obiettivo di assicurare al minore una famiglia. Al contempo, il rilievo ora dato alla “continuità affettiva” può generare il rischio che l’istituto dell’adozione possa venire esteso come tale anche ai single, per i quali è ammesso l’affido dalla stessa legge n. 184/1983 (art.2)».

 

Anche la proposta di legge sulle unioni civili va in questa direzione?

«Apparentemente no. Se guardiamo all’incipit del Disegno di legge n. 2081/Senato, comunicato alla Presidenza in data 6 ottobre 2015, le unioni civili si configurano come “specifica formazione sociale” in adesione al dettato costituzionale dell’art. 2. In quanto tali, la loro configurazione non sembrerebbe rispondere a quanto richiesto oggi dalla natura giuridica dell’affido. Se però si introducesse quest’ultimo nell’attuale disegno di legge sulle unioni, si verificherebbe una contraddizione normativa, impugnabile e con esiti incerti anche in sede giudiziale».

 

Secondo lei, quindi, chi non condivide l’adozione per le coppie omosessuali non dovrebbe percorrere la strada dell’affido…

«Esatto. Se si vuole infatti, al di là delle norme vigenti e dello spirito dell’istituto dell’affido, introdurlo nella normativa sulle unioni civili quale soluzione in presenza del figlio biologico del partner, sussiste il rischio che si apra anche per le unioni civili la strada che conduce dall’affido del minore alla sua adozione».

 

Un rischio ipotetico?

«Non direi proprio ipotetico. Nel DDL n. 2081 sulle “unioni civili”, il riferimento all’art. 2 della Costituzione vale solo per spiegare in premessa la normativa che si intende adottare. Se però si leggono gli articoli, si deduce dall’art. 3: l’obbligo reciproco di fedeltà (impensabile in una formazione sociale); l’accordo circa “l’indirizzo della vita familiare”, il rinvio a numerose disposizioni del codice civile in materia di matrimonio e famiglia (comma 3). Al comma 4 poi si prevede che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge” e “coniugi” si applichino anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Dunque, il riferimento in premessa all’art. 2 della Costituzione parrebbe una “formula vuota”. Se questo è vero, i rilievi precedenti sull’affido e sul conseguente “rischio adozione” risulterebbero di fatto realmente fondati. Per non parlare della donna».

 

Cioè?

«Per comprendere bene la delicatezza dei problemi che si vanno ad affrontare, bisogna considerare anche la pratica illecita della maternità surrogata che la legge, prevedendo l’affido, verrebbe indirettamente a consentire. Il crescente fenomeno dell’utero in affitto o gestazione per altri (vera e propria “riduzione in schiavitù”, nuova e devastante forma di mercato) è la peggiore discriminazione nei confronti della donna e della sua dignità, la più evidente negazione di ogni “parità di genere”».

 

Seguendo il suo ragionamento, nella legge sulle unioni civili non dovrebbe essere prevista né l’adozione né l’affido dei bambini alle coppie omosessuali, anche quando c’è un figlio biologico di uno dei partner. È così?

«Si. Se la “posta in gioco” è garantire veramente il bene dei bambini (i quali hanno diritto ad un padre e una madre), ed evitare nuove forme di sfruttamento “riservate” alla donna, secondo me l’unica via rimane quella di non avallare, neanche indirettamente, una pratica in Italia illegale, lasciando che il figlio biologico rimanga a chi si è assunto la responsabilità di generarlo. In realtà poi rimane sempre un genitore biologico estromesso dalla vita del minore».

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