Adriano Ossicini e il “Morbo di K”

All’ospedale Fatebenefratelli di Roma attribuito il titolo di “Casa di Vita”, perché decine di ebrei vi furono salvati dal rastrellamento delle SS nel 1943. Si è spento l’ultimo dei protagonisti di quell'azione

È il 16 ottobre 1943, poco dopo le 5.00 del mattino. A quell’ora, nell’Ospedale Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina a Roma, sono di turno il primario, il professor Giovanni Borromeo, un giovane medico praticante, Vittorio Sacerdoti e uno studente in medicina poco più che ventenne, Adriano Ossicini. C’è anche fra Maurizio Bialek, polacco e priore dell’ospedale, che fa la spola nervosamente tra le corsie e gli scantinati della struttura.

Dal vicino Ghetto ebraico, giungono rumori di spari e grida: è appena cominciato il sabato “nero”, il “sabato della vergogna”, quello del rastrellamento degli ebrei da parte delle truppe naziste, che porterà alla cattura di 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine. La maggior parte, per l’esattezza 1023, partirà, stipata dentro 18 vagoni piombati, dalla stazione Tiburtina con destinazione Auschwitz-Birkenau. All’arrivo sulla “Judenrampe”, il 23 ottobre, 824 di loro vengono immediatamente assassinati nelle camere a gas.

Adriano Ossicini racconta, in una sua testimonianza: «Ricordo ancora lo straziante grido di una madre in quell’alba, a via della Reginella, che urlava al figlio piccolo “Scappa via, bello de mamma, scappa!”».

Preso dall’angoscia del momento, Adriano corre all’ingresso e lì trova il suo amico Giulio Sella, un vecchio combattente antifascista, ad attenderlo. «Vediamo di fare qualcosa!» gli propone quest’ultimo. Raggiungono il Ghetto. Così, non si sa come, i due riescono a far fuggire alcuni giovani ebrei, una ventina, prima che fossero caricati sui camion, e li conducono verso il Fatebenefratelli. Altri fuggiaschi giungono di propria iniziativa.

Non sono i primi ospiti segreti dell’Ospedale Fatebenefratelli. Dopo l’armistizio, a Roma, in certi ambienti, si allude ad un gruppo di medici, che là, sull’Isola Tiberina, aiuta e presta cure a partigiani, aviatori feriti e forse, anche agli ebrei. Sembra siano circa 400 gli ebrei ospitati a più riprese, nell’adiacente convento di San Bartolomeo. Il priore Bialek con Giovanni Borromeo hanno anche istallato, negli scantinati dell’Ospedale, una radio ricetrasmittente clandestina, che permette di tenere in contatto i partigiani laziali con Radio Londra.

Il coraggioso dottor Borromeo ricovera tutti gli scampati al rastrellamento. Ma per ricoverarli, bisogna compilare le loro cartelle cliniche. Ricorda a tal proposito, Adriano Ossicini: «Sulla loro cartella dovevamo per forza scrivere qualcosa, per distinguerli dagli altri pazienti e, ad un giovane medico ebreo, Giorgio Sacerdoti, venne in mente di metterci “sindrome di K”. Di fatto, esistono varie malattie che cominciano con la lettera K, ma in questo caso, in modo quasi ironico, il “morbo di K” voleva sintetizzare, con questo termine, “morbo di Kesserling”, nome dell’ufficiale nazista, razzista e persecutore». L’odierna Sala Assunta del Fatebenefratelli si trasforma così, in un reparto d’isolamento.

Verso sera, i nazisti giungono sull’isola. I tre medici li accolgono con la mascherina sulla bocca, perché, spiegano, nell’ospedale è scoppiata una gravissima epidemia di Morbo di K, una malattia terribile, mortale e contagiosissima. Le SS, temendo il contagio, arretrano e si ritirano. Così, i coraggiosi medici del Fatebenefratelli riuscirono a salvare decine e decine di ebrei e di perseguitati.

L’ultimo di questi eroi, Adriano Ossicini, si è spento lo scorso 15 febbraio, proprio al Fatebenefratelli. È stato psichiatra, parlamentare, e anche ministro per la Famiglia e la Solidarietà Sociale durante il governo Dini. In una delle sue ultime interviste, dichiarò: «La perdita della memoria è la perdita del valore!».

All’ospedale Fatebenefratelli di Roma, nel giugno del 2016, è stato attribuito il titolo di “Casa di Vita”, dalla Fondazione internazionale Raoul Wallenberg, per il suo contributo al salvataggio di numerosi ebrei dalle persecuzioni naziste. Mentre nel 2004, il primario, il prof. Borromeo, è stato riconosciuto “Giusto fra le nazioni” dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, per l’aiuto prestato in quei giorni a cinque membri della famiglia Almajà-Ajò-Tedesco.

 

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