Adozioni internazionali. Quello che i numeri non dicono
La Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI), autorità centrale italiana prevista dalla Convenzione de L’Aja, pubblica ogni anno il Report con i dati relativi alle adozioni internazionali concluse l’anno precedente. Da diverso tempo i numeri evidenziano un trend fortemente in discesa che la pandemia ha ulteriormente aggravato, scoraggiando le famiglie, rallentando le procedure, limitando gli spostamenti. Nel 2021, evidenzia il documento, il calo è del 42% rispetto al 2019, anche se registra una leggera ripresa rispetto al 2020, con 37 adozioni in più per un totale di 563 adozioni concluse nell’anno.
Ma c’è qualcosa che i numeri non dicono, come emerge da un’indagine realizzata da Azione Famiglie Nuove che si è posta come obiettivo quello di dare voce alle attese, alle difficoltà e ai vissuti emotivi delle coppie che hanno concluso l’adozione nel 2021.
L’indagine poneva alcune domande aperte alle famiglie che hanno condiviso con semplicità e gratitudine l’esperienza più speciale della vita con l’ente che le ha accompagnate in questo percorso. Sono 11 quelle che, nonostante la pandemia, hanno potuto abbracciare i loro 11 bambini arrivati in Italia da tre Paesi: 2 in Colombia, 4 nelle Filippine, 5 in Vietnam, come si informa sul sito dell’associazione www.afnonlus.org.
Tra queste, 5 hanno fatto parte del viaggio organizzato dalla Delegazione europea in rappresentanza dei Paesi di accoglienza in collaborazione con l’autorità vietnamita che ha consentito un volo speciale per il Vietnam a 91 famiglie europee, di cui 16 quelle italiane.
Il quadro che tracciano le coppie attraverso le loro risposte è complesso e variegato, rappresentando con molteplici colori le intense emozioni vissute in un contesto non facile come quello della pandemia, che ha bloccato i viaggi, lo scambio delle informazioni, rallentato le pratiche e creato disagi.
«I sentimenti che abbiamo provato sono numerosi — spiega una coppia —. Dalla gioia di quando arrivava una foto della bambina, alla tristezza di quando non si ricevevano più notizie per giorni e mesi, alla paura quando la situazione epidemiologica peggiorava e la possibilità di partire si allontanava sempre di più».
Il periodo del primo lockdown italiano in cui il protocollo d’emergenza ha imposto misure sempre più restrittive con l’obbligo di permanenza nelle proprie abitazioni, la chiusura della quasi totalità delle attività lavorative, per le famiglie in attesa di partire per il Paese estero dove incontrare il proprio bambino e concludere la pratica adottiva, è percepito come un tempo non misurabile. «Eravamo nervosi, impotenti, e con una gran paura che alla fine il nostro sogno non si realizzasse nonostante fosse così vicino», afferma una coppia che ha adottato nelle Filippine.
Quando nella primavera 2021, l’Italia in certo qual modo comincia a riprendere una sufficiente normalità e a riaprire alcune attività, per le coppie e i bambini significa tornare a sperare. Ma la speranza più volte viene delusa quando i contagi improvvisamente tornano a salire, suscitando un’altalena di stati d’animo che spesso lascia senza fiato.
«Abbiamo vissuto il 2021 su montagne russe — commenta un’altra famiglia — con l’adrenalina e la paura che questo comporta, senza vedere mai la fine di questo saliscendi di emozioni e sentimenti contrastanti». «Ci sentivamo al settimo cielo, quando per la prima volta abbiamo visto anche se in foto il volto di nostro figlio. Un momento unico e indimenticabile — racconta un’altra coppia —. Abbiamo iniziato a preparare la sua cameretta, i suoi vestiti, ma intanto i mesi cominciavano a passare. Quando ad ottobre 2020 il Vietnam fa partire 36 coppie europee coordinate dalla delegazione spagnola, noi non rientriamo nella cosiddetta lista. Ci sentiamo amareggiati e lo sconforto entra dentro i nostri cuori…». Poi arriva la comunicazione di un possibile volo a Natale, ma ecco che di nuovo salgono i contagi. I mesi passano ancora. «Da lì a poco sarebbe trascorso un anno dal mandato e nostro figlio stava crescendo senza una mamma e un papà che tanto lo desideravano». Si riaccende di nuovo la speranza di poter partire a metà giugno, e la coppia corre a vaccinarsi, ma ancora la partenza verrà rinviata.
«Siamo passati dall’euforia di un viaggio in Vietnam che si doveva tenere a fine giugno — dice una coppia —, alla disperazione perché si prospettavano 5 settimane di quarantena chiusi in una stanza di hotel, alla rabbia quando ci è stato comunicato che il viaggio non si sarebbe più fatto e ovviamente non c’era nessuna prospettiva di partire a breve. Quando poi ci viene detto, 13 giorni prima, che saremmo partiti, il 19 ottobre 2021, c’è stata anche un po’ di disperazione perché non ci veniva dato tempo per organizzarci dal punto di vista lavorativo e famigliare».
Giorni intensi per prepararsi: la documentazione da raccogliere, la prenotazione dei voli e tanta paura per l’esito dei tamponi che avrebbero compromesso il viaggio un’altra volta. Poi ancora imprevisti: «Abbiamo dovuto lasciare a casa nostro figlio primogenito per la pandemia e trascorrere in Vietnam 9 giorni chiusi in hotel, facendo un tampone ogni due giorni e senza alcuna possibilità di vedere la città né tantomeno l’istituto di provenienza del bambino. Molto diverso dal viaggio di famiglia che avevamo sempre immaginato… Dover escludere il primogenito dal “viaggio della vita” è stata sicuramente una delle cose più difficili da accettare».
Nel raccontarsi le coppie fanno emergere però anche la forza e la gioia della condivisione, la vicinanza degli psicologi e referenti di AFN, che ha reso questa esperienza unica, possibile e memorabile. «Ci siamo sostenuti a vicenda, parlavamo e ci immaginavamo come sarebbe stato l’incontro con i nostri bimbi». Quando finalmente si presenta il giorno atteso dell’incontro col proprio figlio in un batter d’occhio le difficoltà restano sullo sfondo. Il tempo sembra accelerare di colpo mentre si vorrebbe fermarlo per sempre.
«Ricordo ogni attimo di quella mattina. Ci siamo alzati all’alba per essere pronti. Il cuore in gola e i battiti a mille. Il nostro piccolo appena entrato in quella grande sala congressi ha iniziato a piangere. Povero amore, chissà quante cose gli saranno passate per la mente, chissà la paura che avrà provato! Non nego che la paura aveva preso il sopravvento anche su di me e mio marito… Tengo quei giorni stretti dentro il mio cuore, chiusi come in una cassaforte. Sono troppo preziosi. Valgono tutta l’attesa, tutte le delusioni passate. Vorrei rivivere questo viaggio ancora mille volte, con le stesse persone e gli stessi modi. Non lo avevo immaginato così, ma è stato bellissimo lo stesso. È stato solo troppo breve, ma non importa, torneremo di nuovo dove tutto ha avuto inizio, dove i nostri 3 cuori si sono uniti per sempre. Eravamo soltanto in posti diversi nel mondo, ma desideravamo la stessa cosa».
Ciò che l’indagine evidenzia chiaramente non può emergere dalle statistiche: la capacità di sognare e sperare delle famiglie, la tenacia e il coraggio di una scelta che, come papa Francesco ha sottolineato anche di recente è «tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità», rispondendo pienamente al desiderio della coppia di avere un figlio e al diritto di un bambino abbandonato di avere una famiglia.