Adottiamo un rom o un sinti?

La provocazione dell’arcivescovo di Torino a cittadini e istituzioni nella lettera pastorale "Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio"
duomo di torino

L’arcivescovo di Torino lancia una provocazione alla comunità cristiana torinese ma evidentemente può valere per chiunque: “Adottare nell’amicizia fraterna una famiglia rom o una famiglia sinti”. Mercoledì monsignor Cesare Nosiglia ha presentato la Lettera pastorale “Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio” dedicata ai popoli nomadi che vivono nelle nostre città. E a tutti chiede un impegno, ai nomadi, ai cittadini torinesi e alle istituzioni.

Alle comunità rom e sinti la guida della Chiesa torinese chiede di avere fiducia: «Vorrei dirvi che avete posto nel cuore di Dio, che non dimentica nessuno di voi. Conosco le vostre sofferenze, le umiliazioni, le difficoltà, ma anche i vostri sogni, le vostre speranze, la fatica di raggiungere una vita migliore. Abbiate fiducia nella possibilità di dare un’istruzione, una casa, un lavoro ai vostri figli. Abbiate fiducia di poter essere amici di noi non rom e non sinti, ma tutti figli dello stesso Dio. Lo dico ai cristiani, ma anche ai musulmani… Avere fiducia significa non credere di risolvere i problemi della vita con la violenza o la delinquenza e l’illegalità ma affermare la dignità dei vostri popoli».

Invita invece i torinesi a «non rassegnarsi a considerare il problema dei sinti e dei rom irrisolvibile. Mettiamoci insieme in gioco e scegliamo la via non solo del confronto ma dell’impegno fattivo e non scoraggiamoci di fronte alle inevitabili sconfitte, ma continuiamo a scommettere».

E ai rappresentanti delle istituzioni politiche e civili sottolinea che «il lavoro non è ancora finito… La vera equità si fonda sempre sul partire dall’ultimo e significa non scoraggiarsi mai, non lasciarsi trascinare dalla corrente del consenso. La loro ridotta aspettativa di vita in un Paese longevo come il nostro la dice lunga sulla loro povertà. È doveroso assicurare alla giustizia coloro che delinquono, ma non possiamo accettare la generalizzazione che si compie ai danni di tutto un popolo, costituito prevalente da minori». Si tratta, continua l’arcivescovo di coltivare il “coraggio del futuro” anche confrontandoci con il popolo nomade: «Non temiamo di gettare nuovi semi di un futuro in cui rom, sinti e manush possano vivere insieme: saranno case, opportunità di lavoro, istruzione e salute per qualcuno per arrivare a tutti. Non temete la sproporzione tra i mezzi e le necessità: la solidarietà dei cittadini sopperirà a quello che manca. Abbiamo bisogno della vostra voce, della vostra opera, delle vostre scelte sagge perché ci sia, in mezzo a tanto disorientamento, un segno di fiducia nel futuro, anche nelle nostre capacità di affrontare le difficoltà e le sfide che sembrano insuperabili».

Insieme con la Lettera pastorale è stato pubblicato un breve documento, elaborato e firmato da alcuni dei gruppi che a Torino sono impegnati con i nomadi (Comunità di Sant’Egidio, Terra del fuoco e Migrantes). Il documento si intitola “Vogliamo vivere insieme” ed è stato presentato al prefetto di Torino, al sindaco, ai presidenti di Provincia e Regione nonché ai responsabili delle Asl, dell’Ufficio scolastico regionale e ai presidenti delle fondazioni bancarie. Intende essere uno “strumento operativo” per indicare che cosa si può fare concretamente per avviare a soluzioni i problemi di chi vive nei “campi”.
 

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