Adios Gabo!
«Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo,
non voglio pietra su questo mio corpo, perché pesante mi sembrerà.
Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio;
voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio»
Mi è subito salita in mente questa struggente e bellissima canzone di Guccini, quando ho sentito che è morto Marquez, Gabriel Garcia. Avrei voluto prendere la chitarra e cantarla, guardando gli alberi che mettono le foglie, i sintomi delle loro radici che affondano giù nel buio del terreno, i loro rami che si tendono in un abbraccio (o una sfida?) al cielo.
Se ne è andato un sognatore, che ha fatto sognare, con i suoi racconti sospesi nel mondo a metà, tra realtà e visione, tra realtà e magia – l’unico mondo vero. I suoi racconti, simili alle pergamene dello zingaro Melquiades del romanzo, potevano essere concepiti solo sotto l’abbaglio del sole e della luce della sua terra colombiana. Ma lui è riuscito a renderli universali, a toccare le corde invisibili, interiori, di persone di tutto il mondo.
«Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino,
come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche mattino.
E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovo
e innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso».
Ho letto molti anni fa il suo capolavoro, Cent’anni di solitudine. E ancora mi sono appiccicate alla testa quelle parole: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio…». Non le ho imparate a memoria, si sono appiccicate, come capita con tutte quelle cose che hanno a che fare in qualche modo con la verità, con l’eterno.
«Ed in estate, se il vento raccoglie l'invito fatto da ogni gemma fiorita,
sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita».
I suoi racconti pulsano di vita, prolificano di vita, somministrano a chi li legge la miscela indivisibile di tristezze e vita. La sua passione socialista guarda alla terra, con quel misto di smarrimento e compassione, che sanno avere le anime libere.
«E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e io
sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio».
Oggi 17 aprile 2014 è morto a Città del Messico, il premio Nobel per la letteratura Gabriel José de la Concordia García Márquez, detto Gabo. Aveva 87 anni. Tanti lo piangono, sanno che potranno solo più rileggere i suoi libri, non ne avranno di nuovi. Lui sono certo che ora amerà starsene sotto il suo albero, nella sua nuova Macondo, a fissare il cielo.