Addio Simoncelli, spavaldo cavaliere

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Tace il rombo dei motori. Di quelli più potenti e veloci, che urlano nella classe regina, la MotoGp, 800 di cilindrata. Un centauro è stato disarcionato e due cavalli d’acciaio non hanno potuto evitarlo. Sono freddi i tubi di scarico, come freddo e irrigidito è ormai il corpo esanime di Marco Simoncelli, 24 anni di grinta e di simpatia, che ha perduto la vita nel circuito di Sepang, nel Gran premio della Malesia. Nella stessa pista si era laureato nel 2008 campione del mondo della classe 250.

 

Edwards e Valentino Rossi se lo sono trovati di colpo a ridosso della loro gomma anteriore. Impossibile evitarlo. La velocità, dopo la curva 11, era ancora contenuta – “solo” 100 chilometri all’ora –, ma l’impatto con una massa che, tra mezzo e pilota, pesa 250 chili è comunque devastante, tanto da rompere il cinturino del sottogola e far volare via il casco.

 

Beffarda la dinamica dell’incidente. Almeno dalle prime risultanze. Marco ha fatto una piccola sbavatura in quella curva lenta a destra, la ruota anteriore ha perso aderenza e la moto ha iniziato a scivolare verso l’esterno. Poi, l’imponderabile. La gomma torna a mordere l’asfalto e il mezzo si proietta improvvisamente verso l’interno travolgendo Marco e intersecando le ruote dei due piloti che lo seguivano.

 

La corsa era al secondo giro. Simoncelli aveva già duellato con Bautista, guadagnando la preziosa quarta posizione, proprio dietro le tre Honda ufficiali di Stoner, Pedrosa e Dovizioso. La settimana prima, in Australia, Sic – come tutti lo chiamavano – aveva finalmente conquistato il secondo posto. Un risultato che dava conto delle sue doti velocistiche e metteva a tacere le critiche di eccessiva aggressività.

 

Voleva far bene a Sepang, perché le cadute e le polemiche lo avevano scosso e maturato in questa faticosa e alterna stagione. In un mondo, quello dei motori, dove regna il protagonismo e la rivalità, questo ragazzo romagnolo di Coriano, allegro, guascone, diretto e franco stava emergendo come pilota di rango ed era apprezzato per le sue doti umane. Nel motomondiale tutti ora lo piangono, e quel “tutti” non è un modo di dire dettato dalla tragica evenienza.

 

Il suo gigantesco casco di riccioli neri era diventato ormai un segno distintivo, così come le sue battute. «Un guerriero gentile» è stato definito da molti. Per Valentino Rossi addirittura «un fratello minore». Abitavano a 30 chilometri di distanza, ma è stata soprattutto la vicinanza caratteriale a far nascere l’amicizia. Si allenavano spesso assieme e assieme scherzavano sul loro mondo. «Tanto era duro in pista, come dolce nella vita. Ancora non posso crederci, mi mancherà un sacco», ha aggiunto il pluricampione della Ducati.

 

Il suo “58” sgomitante non si vedrà più sulle piste, rese ormai sicure sotto tanti aspetti, ma che non possono evitare fatalità del genere. Tredici mesi fa, stessa dinamica, perse la vita a Misano il giapponese Tomizawa nella Moto2. Anche questa stagione si chiude nella mestizia. Resterà il sorriso contagioso di Marco. Ma 24 anni per morire sono davvero troppo pochi. Anche per uno spavaldo cavaliere.

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