Addio a Letizia Battaglia
«Palermo perde una donna straordinaria, un punto di riferimento». Così il commento a caldo del sindaco Leoluca Orlando alla notizia, ieri, della morte, all’età di 87 anni, di Letizia Battaglia. «Era un simbolo in campo internazionale, riconosciuta nel mondo dell’arte, una bandiera nel cammino di liberazione della città dal governo della mafia». Palermo, città per la quale ha nutrito un rapporto di odio e di amore e dalla quale è fuggita per poi tornare e viverci per sempre, è stata la sua passione più grande. L’amore per la fotografia è iniziato quasi per necessità: quella di dare da mangiare ai suoi tre figli, di pagarsi l’affitto di una casa a Milano, e di sentirsi libera di lasciare la sua amata-odiata Palermo, città alla quale sentiva di apparenere.
Artista dall’intensa e poliedrica attività, giornalista per il quotidiano L’Ora per oltre 20 anni (unica donna tra colleghi uomini), Letizia Battaglia non ha mai voluto essere etichettata come “fotografa della mafia”. Eppure è conosciuta soprattutto per averla smascherata e immortalata con le sue foto, rigorosamente in bianco e nero, dei morti uccisi nella guerra delle cosche mafiose a partire dagli anni ’70. Tra le sue fotografie più celebri, quella del 1980 a un giovane Sergio Mattarella che tiene tra le braccia il fratello appena ucciso; Andreotti con l’esattore mafioso Nino Salvo, e poi, poliziotti, giudici e uomini delle istituzioni in prima fila nella lotta contro Cosa Nostra: da Boris Giuliano a Ninni Cassarà, fino al generale Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Ma anche mafiosi come Leoluca Bagarella, Salvo Lima, Vito Ciancimino.
Intellettuale, regista, attivista agguerrita, poi assessore comunale e deputato regionale, sempre dalla parte degli ultimi, Letizia Battaglia è stata testimone visiva della realtà sociale e politica dell’Italia, dei protagonisti della storia recente, di personalità illustre, intellettuali e artisti, ma anche di gente comune, della nobiltà palermitana e pure della città popolare, negli scorci e nei volti di donne e ragazzi ripresi nei vicoli. Un’immagine iconica è quella della “bambina col pallone” nel quartiere della Cala, fra i suoi primi scatti che fece il giro del mondo. «Passeggiavo per una strada – ha raccontato −, quando ho visto questa ragazzina che giocava con il pallone. L’ho spinta contro una porta di legno e fotografata così: pallone in una mano e le mille lire nell’altra. Sguardo greve, profondo, quello dei sogni delle bambine. Quella ragazza l’ho cercata per anni per sapere qual è stata la sua vita, ma non l’ho più ritrovata».
Letizia fotografava sempre con un obiettivo grandangolare in modo da dare forte enfasi al primo piano rispetto allo sfondo, e sempre in stretto contatto con i suoi soggetti per suscitare nell’osservatore la sensazione di essere con lei sulla scena. Perché il suo stile personale, istintivo, la sua geometria compositiva determina intense relazioni tra soggetto, spazio e tempo, evidenzia sguardi e gesti, pone l’accento sulle emozioni. «La fotografia l’ho vissuta come documento, come interpretazione, e tanto altro ancora – ebbe a scrivere −. L’ho vissuta come acqua dentro la quale mi sono immersa, mi sono lavata e purificata. L’ho vissuta come salvezza e verità. Con la macchina fotografica ho avuto coscienza di me, di quella che ero».