Addio al segreto bancario
È stato firmato nei giorni scorsi, a Parigi, l’accordo per lo scambio in materia di informazioni bancarie fra l’Ocse e tutti gli Stati membri, Svizzera inclusa. In tutto sono 47 i Paesi che hanno firmato l’intesa: 34 membri dell’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa – e 13 partner associati, tra cui Singapore, Malesia, Indonesia, Cina, Argentina, Brasile e Sudafrica. Si tratta di un'importante e decisiva azione nella lotta all’evasione e alla frode fiscale, in quanto prevede uno scambio di informazioni bancarie mettendo così la parola fine alla privacy indiscriminata, garantita soprattutto dagli istituti svizzeri.
Questa intesa – che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 2017 – obbliga i 40 Paesi firmatari a procurare tutte le informazioni richieste dalle loro istituzioni finanziarie e a scambiarle automaticamente con altre giurisdizioni su base annuale. Fino a ieri, era previsto che lo scambio di informazioni scattasse solo su richiesta, in caso di indagine del fisco o della magistratura. Adesso le banche avranno un anno di tempo per adattare i loro sistemi informativi e i governi stessi dovranno modificare gli ordinamenti fiscali.
Il segreto bancario svizzero è uno dei più importanti a livello internazionale, e gran parte del suo sviluppo e del suo successo risale agli anni Trenta, quando venne introdotto per evitare ai nazisti di mettere le mani sui patrimoni degli ebrei nella Federazione elvetica. Lo scambio di informazioni, la notorietà degli intestatari e delle somme di denaro mosse e custodite, sono per la Svizzera da sempre fatti privati, che gli istituti bancari sono tenuti – anzi obbligati – a tenere riservati.
In effetti, il segreto bancario – soprattutto quello svizzero – ha permesso di proteggere dalle persecuzioni molti risparmiatori che, nei primi anni del secolo scorso, vivevano sotto le dittature che allora dominavano l’Europa. Si trattava di persone che desideravano piazzare i loro fondi al sicuro. È anche vero, però, che tutto questo si è svolto quasi sempre nell’illegalità, dato che esse cercavano non soltanto l’evasione fiscale, ma anche l’esportazione illegale di capitali, in un mondo dominato dal protezionismo e dai controlli delle dogane, soprattutto all’indomani della crisi del ’29.
Questo accordo segna chiaramente la fine del segreto bancario sfruttato per ragioni fiscali, e rappresenta un altro passo avanti per assicurare che le frodi fiscali non abbiano più un luogo dove nascondersi, come ha avuto modo di spiegare il segretario dell’Organizzazione, Angel Gurria, usando toni espliciti: «La frode fiscale e l’evasione non sono crimini senza vittime: privano i governi di entrate necessarie per far ripartire la crescita e minano la fiducia dei cittadini nell’equità e integrità del sistema fiscale».
Si tratta della fine di un’era, la fine di quei tanto agognati paradisi fiscali, che avrà come traguardo quella tanto auspicata concezione di giustizia tributaria, che senza dubbio può essere determinante nella crescita economica. Inoltre, grazie all’abbattimento di queste barriere, finalmente sarà rispettata l’uguaglianza di opportunità nelle attività economiche, risolvendo i problemi di inequità che costituiscono la principale causa della povertà.
Come scritto nell’Evangelii Gaudium 202, «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali».