Addio al nunzio della pace

Mons. Pietro Sambi è morto il 27 Luglio al Johns Hopckins Hospital di Baltimora. Nunzio apostolico negli Usa dal 2005 aveva lavorato in Terra Santa a favore della pace tra i popoli
Pietro Sambi

A Gerusalemme aveva un barbiere musulmano Mons. Sambi, che ha continuato per anni a chiedere di “Abuna Boutros”, di Padre Pietro, come lui chiamava il presule romagnolo. E diceva sempre che era un uomo buono, intelligente, da stimare.

E’ così, dal barbiere, si fa anche il dialogo interreligioso e soprattutto si conoscono gli uomini.

Pietro Sambi era pur sempre un pastore prima di essere un “nunzio apostolico”, anche se tra i più autorevoli della diplomazia vaticana.

 

“Nunzio” e cioè messaggero del Papa, portatore della “Buona Novella”; mons. Sambi lo è stato davvero, con la franchezza, l’onestà, ma anche la simpatia e l’affabilità di un uomo che era abituato a vivere ogni situazione sempre sereno, gioioso anche di fronte alle avversità. Non un ottimista incallito, ma uno abituato a sperare sempre, oltre il contingente.

Nato nel 1938 in Romagna, Mons. Sambi ha vissuto 43 anni a servizio della Chiesa in varie rappresentanze pontificie: dal Cameroun all’Indonesia, ai sette anni passati in Terra Santa prima di essere inviato a Washington nel 2005. E proprio negli Stati Uniti, a Baltimora, mons. Sambi è morto la sera del 27 Luglio, per alcune complicazioni sopravvenute a seguito di un’operazione al polmone.

 

Avevo conosciuto Mons.Sambi il 9 Aprile 2004. Era venerdì santo, e lo trascorrevamo a Gerusalemme, in pellegrinaggio insieme ad altri 31 giovani di varie parti del mondo. Eravamo saliti sul Monte degli Ulivi, la collina di Gerusalemme dove risiedeva l’allora nunzio apostolico, che ci aveva accolti mettendoci a nostro agio e aprendo per noi lo scrigno dei suoi tesori.

 

Uno scrigno fatto di tanti racconti che riguardavano sempre gli “altri” che il presule aveva incontrato nella sua lunga attività. E per ciascuno c’era una parola di speranza, un aneddoto da cui traspariva il lavoro silenzioso, ma efficace, per stabilire condizioni di vita dignitose per tutti e per favorire la pace e la riconciliazione tra i popoli. Ci aveva incoraggiati a non abbandonare i cristiani in Terra Santa: «La maggior parte di essi– raccontava- vivono dei servizi ai pellegrini, e ora molte famiglie sono al limite della sopravvivenza. È anche un aiuto materiale che si dà, oltre al sostegno spirituale». Un forte appello, che a noi, primo sparuto gruppo, risuonò come un ringraziamento. Negli anni successivi i pellegrinaggi sono ripresi, riportando i cristiani «a sentirsi insieme parte di un’unica famiglia, con tutti gli altri». Ecco l’augurio che ci aveva espresso e che è vivo ancora oggi.

 

«Ha molto amato la Terra Santa e la Terra Santa ha molto amato lui» ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal.

 

Pierfrancesco Pizzaballa, custode di Terra Santa, lo ricorda così: «Con Sambi la diplomazia vaticana in Terra Santa ha fatto un grande salto di qualità. Era un esperto molto considerato sia dai palestinesi che dagli israeliani, la sua opinione era importante. Lo ricordiamo presente e attivo in crisi delicate come l’Intifada, l’assedio alla Basilica della Natività e in altri momenti storici come la visita di Giovanni Paolo II della quale fu il regista. Riuscì a gestire situazioni delicate grazie alla sua capacità di relazione. Un vero punto di riferimento anche per la Chiesa. Il suo modo franco e diretto a volte spiazzava i vescovi locali. Ma queste piccole sterzate li aiutavano poi a prendere coscienza dei problemi e li incoraggiavano».

 

Mons.Sambi era legatissimo alla sua terra d’origine, per la quale provava una struggente nostalgia e dove tornava volentieri ogni volta. L’ultima proprio poche settimane fa, anche per riceve la cittadinanza onoraria di Savignano sul Rubicone.

Il presidente della provincia di Rimini Stefano Vitali ha dichiarato: «Con la morte di Monsignor Sambi perdiamo una figura di grande profilo religioso e sociale. La sua profonda cultura e conoscenza teologica, la grande esperienza diplomatica, lo hanno reso un punto di riferimento imprescindibile per il dialogo tra la fede cattolica e le culture e tradizioni dei popoli di tutto il mondo».

 

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