Addio al dollaro per Cina e Giappone
Accordo importante dei due Paesi asiatici nell'ambito degli scambi commerciali. Una scelta comunque non nuova
La notizia meriterebbe piú rilievo di quello ricevuto nei media: il 26 dicembre scorso il premier cinese Wen Jiabao ed il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda hanno siglato un accordo in base al quale in futuro lo scambio commerciale tra questi due Paesi si realizzerá nelle rispettive divise nazionali, il yuan e lo yen e non piú in dollari. Va tenuto presente che Cina e Giappone rappresentano rispettivamente la seconda e la terza economia mondiale e finora il 60% del loro commercio avveniva in divisa statunitense.
Non si tratta del primo caso di governi che rinunciano all’uso del dollaro. Nel maggio 2010, anche in quel caso con scarso eco nella stampa internazionale, Vladimir Putin annunció che la Russia avrebbe usato il rublo nel commercio degli idrocarburi all’interno della sfera di influenza economica del suo Paese. Successivamente, anche se seguendo una ben diversa linea politica, Argentina e Brasile stabilirono che per i loro scambi commerciali non avrebbero piú fatto ricorso al dollaro come moneta di riferimento. Ed anche l’Iran da tempo ha optato per altre monete anziché il dollaro in materia di commercio petrolifero. Non mancano gli economisti che leggono la decisione di Pekino nel quadro dell’iniziativa cinese di proporre il yuan come divisa internazionale.
Oltre che in chiave economica, per l’attuale sfiducia nei confronti del dollaro, il provedimento va letto anche in chiave politica dato che se numerosi Paesi seguissero tale esempio ne deriverebbe un notevole indebolimento del dollaro ed anche del prestigio statunitense, il che suppone una risposta all’offensiva della Casa Bianca che un po’ ovunque nel mondo sta cercando di accentuare il principale tallone d’Achille della potenza asiatica, la sua dipendenza dagli idrocarburi ed infatti, per alcuni analisti, va letto anche in questa chiave l’appoggio della NATO alla caduta del regime libico onde sottrarre a Pechino una ulteriore fonte di approvvigionamente energetico.
Dopo la notizia dell’inclusione del Brasile tra le prime otto economie del pianeta, anche questa novitá sta indicando che i tempi sono mutati e che la politica dovrá adeguarsi a tali nuovi schemi internazionali, meglio ancora se lo saprá fare usando la diplomazia piú che i rapporti di forza.