Addio ad un maestro del cinema

Scompare a 92 anni Francesco Rosi, un grande cineasta italiano. Ci lascia capolavori come Il Bandito Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei. Ha spesso raccontato il Sud, le sue ferite, le sue sofferenze, il suo  ritardo storico con un cinema innovativo, apripista, formidabile
Francesco Rosi

Francesco Rosi non c'è più. Un grande cineasta italiano è scomparso. Un gigante ci ha lasciati, consegnandoci per sempre film di grande potenza e attualità. Nei contenuti, certamente, nella loro capacità di descrivere i profili più complessi e scomodi del nostro Paese, nel loro essere storia per immagini. Ma anche nella forma, in quel loro stile affascinante ed unico, dove gli elementi storicamente accertati di una dolorosa, amara e irrisolta vicenda collettiva, vengono accostati con pazienza tra loro, messi in relazione e consegnati allo spettatore, il cui compito diventa quello di aggiungere i tasselli mancanti del dramma, del mistero, quelli che la storia non ha ancora reso noti. Rosi sa far parlare i documenti, e possiamo chiamarlo cinema di inchiesta, cinema politico, di impegno civile, di costante ricerca di verità. E' stato un cinema coraggioso, il suo, importante, di preziosa lezione per chi è venuto dopo. Un cinema innovativo, apripista, formidabile. E' stato spesso un cinema sul nostro Sud, sulle sue ferite, sulla sua sofferenza, sul suo ritardo storico. Un cinema a volte straordinario, morale e spettacolare insieme, assolutamente meraviglioso anche nel dolore raccontato.

 

Francesco Rosi è nato a Napoli, nel 1922, e della sua terra parla il suo esordio: La sfida, del 1958, tra le opere prime più riuscite nella storia del cinema italiano. Ne è protagonista un Sud fragile, credibile nella ricostruzione ambientale, pieno di sole e di povertà, di bellezza sporcata, di regole antiche non scritte dallo Stato. Va detto che la prima regia di Rosi arrivava dopo un paio di film girati a quattro mani: Camicie Rosse con Goffredo Alessandrini, del 1952, sul tema del risorgimento, e Kean, del 1956, diretto insieme a un giovane Vittorio Gassman. E va ricordato anche, e soprattutto, che prima di firmare in fortunata solitudine, Rosi aveva avuto un lungo e pazzesco apprendistato, avendo imparato il mestiere, tra gli altri, da uno come Luchino Visconti, del quale era stato assistente ne La terra trema, capolavoro del Neorealismo, del 1948, e in Senso, del 1953, altra pellicola sul Risorgimento italiano, sull'alba di quella Nazione che Rosi non ha mai smesso di mettere al centro del suo lavoro. Con Visconti, egli aveva collaborato anche per la scrittura di Bellissima, del 1951, e come sceneggiatore aveva dato prova di bravura con l'importante Processo alla città di Luigi Zampa, del 1952: pellicola sul potere criminale a Napoli, tesa, civile e drammatica, carica di suspense e soprattutto costruita su una piccola vicenda che scoperchiava un mondo, un intero sistema di potere e culturale. Un film, insomma, in cui prendeva forma e fiducia il futuro grande cinema civile di Francesco Rosi.

 

Con I magliari, del 1959, l'autore ha raccontato il Sud senza terra degli emigrati italiani all'estero, e quando è “tornato” in Italia, una manciata dopo, puntando di nuovo verso Sud, ha firmato uno dopo l'altro i suoi più grandi capolavori, quelle opere che non invecchieranno mai e che hanno fatto grande il nostro cinema nel mondo. La prima è Salvatore Giuliano, del 1961, non tanto, o non solo un film sul famoso bandito siciliano, quanto una storia dell'intera Sicilia, e più in generale ancora dell'Italia, dal 1943 al 1960. E' un film con salti temporali che cuce i fatti e li collega, che pone dubbi e mostra il desiderio di scansare l'oscurità tremenda che accompagna certe pagine della nostra Repubblica. Un'opera che meraviglia e scuote, portando in sé sequenze memorabili e drammaticissime come quella della strage di Portella della ginestra, avvenuta il primo maggio 1947. La seconda è Le mani sulla città, una denuncia decisa della corruzione e del connubio tra potere politico ed economico in Italia, della speculazione edilizia degli anni Sessanta. Tutto è terribilmente attuale e il film, Leone d'oro a Venezia, mostra una realtà sociale ed ambientale autentica, come annunzia la didascalia che lo apre. Il film mostra uno dei mali che più hanno aggredito e continuano a mordere la nostra società, ieri come oggi.

 

E' una strada grande, quella aperta da Rosi in pochi anni, percorsa, poi, da molti e mai abbandonata da lui stesso, che l'ha ripresa dopo una parentesi all'estero (Il momento della verità, 1964) e una singolare escursione nella fiaba (C'era una volta, 1965). L'ha imboccata nuovamente con un pregevole film antimilitarsita sulla prima guerra mondiale (Uomini contro, 1970) e con una ricostruzione dettagliatissima della vicenda tragica del presidente dell'Eni Enrico Mattei, morto in un incidente aereo, in circostanze mai del tutto chiarite, nel 1962. Di entrambi i film è protagonista Gian Maria Volontè, e se nel primo la forza espressiva è tutta nei dialoghi e nei personaggi, nel secondo il linguaggio anticonvenzionale è spinto all'estremo, in una miscela magistrale di interviste, documenti fotografici e interventi di Rosi stesso, che mettono lo spettatore de Il caso Mattei (1972) di nuovo nella condizione di approfondire la conoscenza del dopoguerra italiano e dei tanti misteri di cui è fatto.

 

Il “condottiero”, così lo chiamava Fellini, ha regalato un'altra manciata di preziosi film prima di congedarsi. Sempre col “sostegno” di Volontè, nel 1973 ha realizzato Lucky Luciano, che non manca di puntare il dito contro la corruzione politica in Italia, e dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia ha ricavato, nel '75, un'altra vibrante denuncia di intrighi e malaffare, le solite malattie di un'Italia stavolta avvolta in tutta la tensione politica degli anni Settanta. Se nel 1981 gli anni di piombo vengono ripresi con il valido Tre fratelli, nel '79, dal bellissimo romanzo omonimo di Carlo Levi, Rosi ha realizzato Cristo s'è Fermato ad Eboli, indicando, per la quarta volta insieme a Volontè, come le cause della sofferenza del nostro meridione siano antiche, e vadano cercate nel passato. Il suo ultimo lavoro è del 1997, La tregua, basato sul romanzo omonimo di Primo Levi. Un film solido, capace di non sfigurare di fronte a un libro straordinario. E' il film di un maestro immerso nella storia, deciso a combattere con le armi del cinema per la verità e a favore del suo amato e tormentato Paese.      

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