Addio a Roland Petit

È scomparso a 87 anni uno degli ultimi miti ed un instancabile innovatore della danza mondiale del Novecento
roland petit

Dopo Merce Cunningham, Maurice Bejart, Pina Bausch, scomparsi in questi anni recenti, ci ha lasciato un altro degli ultimi miti della danza mondiale, Roland Petit. All’età di 87 anni, per una leucemia fulminante. Il suo genio ha segnato la storia del Novecento. Negli ultimi anni, oltre a vedere alcuni brani dei suoi balletti nei vari Gala di Roberto Bolle o di Eleonora Abbagnato, la Scala di Milano, il Teatro dell’Opera di Roma, il San Carlo di Napoli, il Bellini di Catania, lo hanno omaggiato con tre dei suoi titoli più celebri: Le jeune homme et la mort, L’Arlesienne e Carmen.

 

Proprio nella Serata Petit del teatro catanese lo scorso anno lui stesso volle rendersi presente con la sua voce registrata che, fuori campo, introduceva i singoli balletti. Voce che tradiva ancora entusiasmo, freschezza e la grinta di un giovane ultraottantenne.

 

Formatosi alla scuola dell’Opéra di Parigi, entrando poi nel corpo di ballo, fondò nel ’45 i Ballets des Champs-Elysée, diventati tre anni dopo i Ballets de Paris. Con Zizi Jeanmarie, moglie e musa ispiratrice, formò la coppia più glamour della danza. Un matrimonio nell’arte e nella vita durato più di mezzo secolo. Nel 1971 diede vita a i Ballets de Marseilles che presto divenne una delle più straordinarie compagnie europee e per la quale creò decine di titoli popolarissimi.

 

Il talento coreografico si manifestò subito agli inizi della sua carriera. La coreografia che lo rese famoso poco più che ventenne fu “Le jeune homme et la mort”. Balletto–simbolo dell’esistenzialismo francese del Dopoguerra, ricavato da un soggetto di Cocteau scritto proprio per Petit, a rivederlo ancora oggi colpisce per la straordinaria modernità. Descrive la disperazione di un solitario giovane artista che, sedotto dalla morte, incarnata da una glaciale fanciulla, finisce per impiccarsi prima che questa torni per prenderselo e volare via. Ad interpretarlo si sono avvicendati ballerini del calibro di Nureyev, Baryshnikov, fino al nostro Roberto Bolle.

 

Petit ha firmato una serie innumerevole di capolavori. Fra questi “L’Arlésienne", il divertente "Charlot danse avec nous", “Ma Pavlova", l’omaggio alla mitica ballerina del teatro Marjinskij e poi dei Ballets Russes; e "Proust ou les intermittences du coeur", duetto di neoclassica fattura denso di sentimenti e di vibrazioni del cuore, solo per ricordarne alcuni. Nel corso della vita, si è attorniato di artisti delle più varie discipline – Max Ernst, Picasso, Messiaen, Derain, Xenakis, Keith Haring, Leo Ferrè – aprendo così il balletto alle altre arti

 

Petit amava definirsi “un coreografo classico che fa balletti contemporanei”. Il suo lessico infatti ha radici accademiche. Ma spazia dalle punte al contemporaneo, con vere incursioni nel genere leggero, stile Broadway, e nel rock (basti ricordare il successo mondiale di "Pink Floyd Ballet" del 1972). Senza tralasciare la rilettura, anche ironica, dei capolavori romantici. La letteratura è stata la sua fonte d’ispirazione. Era, forse, l’unico coreografo capace di creare un balletto d’azione senza raccontarlo, senza ricorrere alla pantomima ma ad una gestualità moderna, raffinata, stringata. Gli esempi sono moltissimi: dal Gattopardo a Notre Dame de Paris; da La dama di picche a La voce umana, a Cherì. Su tutti la frizzante Coppelia che, ripulita delle parti più stucchevoli, rimane, insieme alla Carmen, tra i suoi lavori più felici. Come re Mida, il quale qualunque cosa toccava vedeva trasformarsi in oro, ogni volta in cui Petit scopriva un testo, lo leggeva, lo rileggeva, se ne invaghiva e lo trasformava in nuova materia di ispirazione per uno dei suoi lavori che lo hanno reso un avventuroso interprete dei nuovi fermenti della danza contemporanea.

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