Addio a Maiorca, re degli abissi e ambientalista

Ha dedicato la sua vita alla tutela dell’ambiente marino contro l’avanzare inesorabile del cemento. I record mondiali di immersione in apnea. L’impegno per la creazione dell’area marina protetta di Plemmirio, vicino alla sua Siracusa
Maiorca

«È un’offesa che oggi si pensi a distruggere tutto ciò che c’è di patrimonio sentimentale e di memoria nell’arco di costa che va dal porto grande di Siracusa fin verso Capo Murro di Porco e oltre». In questo breve stralcio ripreso da una video intervista concessa alcuni anni fa a SOS Siracusa, coordinamento spontaneo di cittadini che si pone come obiettivo lo sviluppo sostenibile della città siciliana, emerge nella sua interezza l’indole fiera e combattiva di un uomo che ha dedicato la sua intera vita alla tutela dell’ambiente marino e costiero dall’avanzare inesorabile del cemento. Una passione per il mare che Enzo Maiorca, spentosi ieri a 85 anni, ha coltivato sin da quando era bambino: la prima immersione avvenne infatti durante la seconda guerra mondiale, utilizzando una maschera antigas abbandonata e resa impermeabile con mastice e fil di ferro.

 

La crescente curiosità verso gli abissi marini ha poi portato il giovane Maiorca ad avvicinarsi sempre più al mondo delle immersioni in apnea: lo studio delle tecniche di compensazione, necessarie per raggiungere ragguardevoli profondità subacquee, ha permesso all’atleta siracusano di raggiungere quote sempre maggiori, fino ad arrivare a conquistare nel 1960 il primo record mondiale. Quarantacinque metri di profondità è stata la misura che gli ha consentito nell’occasione di battere il suo primo storico rivale, il brasiliano Amerigo Santarelli. Da allora, la carriera di Maiorca da apneista è stata un crescendo di risultati e popolarità, sullo sfondo della grande rivalità con l’atleta francese Jacques Mayol.

 

Tra i ventitré primati conquistati da Enzo Maiorca, i record assoluti rimangono i 55 metri ad assetto costante (raggiungimento della quota senza zavorra) del 1979 e i 101 metri ad assetto variabile toccati nel 1988. Quest’ultima prodezza, canto del cigno della sua carriera, rappresenta forse il capitolo più bello nel lungo e appassionante romanzo delle sue imprese sportive: grazie al sostegno delle due figlie Patrizia e Rossana, divenute anch’esse campionesse della specialità, Maiorca decise infatti di rimettersi in gioco a 57 anni, raggiungendo fra l’altro quello storico risultato proprio nelle acque di Fontane Bianche, al largo della sua Siracusa. Un congedo che, dunque, è stato anche omaggio e grande atto d’amore a una città che ha sempre cercato di difendere e tutelare con tutte le sue forze.

 

Abbandonato l’agonismo, Maiorca ha continuato a spendersi per la salvaguardia dell’ambiente esponendosi in prima persona, in maniera netta e senza ambiguità: le lotte contro la cementificazione selvaggia della costa siracusana, la difesa del patrimonio artistico e culturale della sua città, l’aperta contestazione verso trivellazioni e piattaforme petrolifere hanno segnato la seconda parte della sua vita, fungendo da continua ispirazione e cassa di risonanza per le tante attività dei comitati e delle associazioni aretusee che portano avanti battaglie per la tutela ambientale e paesaggistica.

 

L’impegno di Maiorca, ad esempio, è stato fondamentale per la creazione dell’Area Marina Protetta del Plemmirio, che si trova sulla costa orientale di Siracusa: basilare è stata anche la sua presa di posizione per la difesa di alcuni tratti incontaminati del litorale siracusano, tra i quali la meravigliosa Riserva della Pillirina. A ciò si è anche aggiunto l’attivismo politico, concretizzatosi con l’elezione a senatore nel 1994 nelle liste di Alleanza Nazionale: una parentesi, quest’ultima, chiusasi due anni dopo.

 

Maiorca è stato affiancato in molte sue battaglie da don Rosario Lo Bello, il sacerdote che ha celebrato il suo funerale nella Cattedrale del capoluogo aretuseo. Ulteriore occasione per ricordare un uomo speciale che ha dedicato alla natura la sua esistenza, impreziosita anche dalla scrittura di libri e dalla partecipazione a numerose spedizioni scientifico-archeologiche. «Il mare per lui è sempre rimasto una passione, non un lavoro», ha precisato la figlia Patrizia, ricordando anche una frase del padre che ne rappresenta il testamento perfetto e il miglior messaggio da lasciare alle future generazioni: «per conoscere davvero il mare, bisogna prima conoscere la propria anima e il proprio cuore».

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