Addio a don Geki

Se ne è andato il giorno di Natale a 81 anni. L'intervista con Città Nuova, che riproponiamo, era stata, nello scorso febbraio, l'ultima che aveva concesso. Era affaticato, ma ci aveva accolto con grande amore e un ottimismo incrollabile. L’avventura di don Giancarlo Bertagnolli, detto don Geki, è stata quella di un prete di strada che accoglie i tossicodipendenti, i figli del disagio, i ragazzi sbandati quando nessuno si occupava di loro. Nel 1978 fonda l’associazione La strada
Don Giancarlo Bertagnolli

Fuori piove, dentro, un normale appartamento nella periferia di Bolzano, ci accoglie con un volto luminoso un anziano sacerdote, classe 1933. Don Giancarlo Bertagnolli è uno di quei uomini con cui ti trovi subito a tua agio, non avverti nessuna distanza, il suo parlare è semplice, vero, evangelico, senza fronzoli, con l’autenticità che si comunica con il suo stesso essere. Parla con noi di Città Nuova per una ventina di minuti ma ti sei fatto subito l’idea dello spessore umano e spirituale che tanti giovani hanno trovato in lui. La sua parrocchia è sempre stata la strada, siamo alla fine degli anni Sessanta e anche nella periferia di Bolzano arriva la droga, un fenomeno tanto letale quanto sconosciuto.

Un’idea di libertà, di abbattimento di tutti gli schemi che imprigiona migliaia di giovani attratti dalla sete di libertà, di autenticità, di protesta verso una società con cui non si identificano più. Con un filo di voce tenue racconta che è stato «sempre accanto a chi fa fatica». Quanta ne ha accumulata lui stesso per condividere, «dare una mano a chi si drogava per camminare con loro». Gran parte della società, della chiesa, delle famiglie sono disorientate e non sanno come affrontare il fenomeno delle tossicodipendenze. Don Giancarlo non è un esperto di droga, non ne sa nulla, «a parte qualche articolo di giornale», ma osserva e nota che anche la chiesa non si interessava a questo dramma.

Don Giancarlo lavora con i giovani, è assistente, da 14 anni, dell’Azione cattolica e il vescovo, dietro le sue richieste di occuparsi di giovani sbandati, non vuole mollarlo. Alla fine cede e lo incoraggia. La droga, soprattutto eroina, corre a fiumi, stordisce gli studenti che a scuola, dove li raccoglie, appaiono, distratti, deconcentrati, assenti. Nel 1978 fonda, con la spinta di don Luigi Ciotti, l’associazione La strada ‒ Der Weg, che supera i confini etnico‒linguistici della regione per dare dignità a tutti. Il nome nasce «dalla concretezza di cercare la gente sotto i ponti Talvera e Druso e nei bar. Mi ricordo ancora gli appartamenti diroccati dove i ragazzi fumavano e si drogavano».

Il suo metodo è semplice: amare. «È l’amore che sconfigge tutto. Alla fine della vita il Signore non mi chiederà quante Messe ho celebrato, ma quanto ho amato». È l’avventura di ogni cristiano, ma sotto il suo sguardo sono passati più di 500 giovani superando ogni tipo di difficoltà, l’indifferenza, la solitudine sacerdotale, una serie di dolorosi rifiuti, la ristrettezza delle risorse, la generosità ma anche l’inadeguatezza dei volontari per un lavoro che aveva bisogno anche di specialisti. Oggi che il pericolo della droga è tamponato, non c’è più bisogno di una comunità terapeutica residenziale come è stato in origine e La strada ha più di 100 dipendenti che si occupano di sei comunità di minori a rischio di devianza perché provengono da famiglie fatiscenti.

Il loro lavoro è di non accentuare l’emarginazione sociale, di fargli frequentare le scuole pubbliche, di inserirli nel tessuto di relazioni della città. Oggi la nuova frontiera sono le malattie psichiche prodotte dalla droga. «Mi trovo così bene con loro, celebro la Messa, poi se qualcuno vuole, mi fermo a parlare. Lavoriamo in punta di piedi, senza apparire, siamo piccoli e umili. Se i giovani riescono ad agganciarsi alla preghiera tutto è fatto, ma non bisogna forzare nessuno». Tra le innumerevoli storie don Giancarlo ricorda quello di un giovane che voleva sempre stare con lui. Da questa amicizia è nato il desiderio di entrare in seminario, anche se non è mai arrivato al sacerdozio. «Oggi è sposato ‒ spiega ‒ e sua moglie è ricca di fede e energia. Li posso incontrare raramente, ma l’amicizia continua».

Colpisce il suo entusiasmo, la sua freschezza giovanile, nonostante l’aspetto canuto, la voce bassa, una certa fatica accumulata nel tempo. «C’è sempre per tutti un domani migliore purché lo si sappia attendere. L’attesa è faticosa e occorre una pazienza intelligente».

Il suo funerale, nella gremita chiesa di Regina pacis, si è svolto il 28 dicembre. Presenti tutte le autorità della città e sopratutto tanta gente comune che don Geki ha accompagnato.

Il vescovo di Bolzano Ivo Muser, ha ricordato l’ultimo incontro: «Era il 30 ottobre e, con una voce flebile, mi ha detto “ me ne vado a Natale”. Per me questo è un segno della provvidenza divina per un sacerdote che ha visto in ogni bisognoso la presenza di Dio».  Alla fine della messa il saluto del suo amico di sempre, don Ciotti: «La strada che è stata la sua maestra ci ha fatti incontrare negli anni Settanta e ci ha insegnato a mettere al centro di tutto la persona con la sua originalità e la sua irripetibilità. Ognuna è una storia. Don Giancarlo ha saputo saldare terra e cielo».Commosso il saluto dell’ex sindaco Salghetti che lo aveva conosciuto 40 anni fa. «È stato il contatto quotidiano con i giovani a fargli avvertire i primi segnali del disagio al quale più di un suo ragazzo rispondeva con la droga. Non poteva accettarlo ed è per questo che ha fondato “La Strada”. In questi anni si è fatto carico della disperazione e della solitudine di genitori, figli e nonni, aiutandoli a vedere la luce in fondo al tunnel».

 

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Guarire con i libri

Abbiamo a cuore la democrazia

Voci dal Genfest

Quell’articolo che ci ha cambiato la vita

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons