Ad Haiti per evangelizzare l’inferno

La Missione Belem sull’isola caraibica raccontata da tre registi, Luca Bonaventura, Marta Carino e Fernando Muraca. Dalla loro passione per la regia, dal loro desiderio di raccontare i più dimenticati, dal loro viaggio in quei luoghi, nascerà un resoconto giorno per giorno su Istagram e poi un film documentario, “Perché ti ho visto”, che servirà a raccogliere fondi per la costruzione di un ospedale.

Con immenso affetto, evangelizziamo l’inferno: è il titolo di un libro che racconta la storia della Missione Belem, nata diciotto anni fa nella città di San Paolo. È il 2000, l’anno del Giubileo: padre Giampietro Carraro, missionario veneziano, e una consacrata brasiliana, Cacilda Da Silva Leste, attraversano il cosiddetto ponte dello “Chà”. Sono disorientati, non conoscono niente della vita della strada, non sanno come fare ad avvicinare i “meninos de rua”, i ragazzi che vivono sulla strada, temuti e rifuggiti dai più.

Scrive padre Giampietro: «Solo Dio sa quanto desideriamo entrare nel mondo di questi bambini. Nella nostra testa danzano i dogmi invisibili della società: “questi ragazzini sono dei buoni a nulla, sono pericolosi, sanno solo rubare, a loro piace intontirsi respirando i vapori della colla e del diluente”. Ma qualcosa doveva succedere quella notte».

All’improvviso, alcuni bambini arrivano dalla parte opposta della strada: sono malconci, chiassosi. All’inizio, non li notano. Finché uno di questi non si stacca dal gruppo e va loro incontro. Sono amichevoli e incuriositi dai crocifissi e dalle medagliette che i religiosi portano al collo. Ne conquistano la fiducia, e alla fine, i bambini li portano a visitare il loro nascondiglio dentro il ponte, passando attraverso una fessura di 40 centimetri in una delle pareti.

«Venti ragazzini, poco più che bambini, sono là, abbandonati; bambine semi-nude in braccio ai compagni della stessa età, drogati dalla colla e dal tinner, un diluente. Un fortissimo odore di marijuana. È una scena infernale. Tutto scuro, brutto, triste. Davvero, questa diventerà per noi la prima porta dell’inferno». Così, nasce in padre Giampietro e Calcida, la consapevolezza della loro chiamata: evangelizzare l’inferno.

«A partire da quel momento, i sotterranei infernali della strada, dei marciapiedi e delle piazze, delle favelas… sono diventati la nostra casa e il “popolo della strada”, il popolo dei miserabili è diventato la nostra famiglia» raccontano.

Nel maggio del 2010, la Missione Belem giunge anche ad Haiti. Ricorda padre Giampietro: «Era previsto che, con i nostri missionari, arrivasse nelle coste della capitale di Haiti anche un terribile ciclone, e tutti sapevamo che il colera stava imperversando, mietendo decine di migliaia di morti. Nonostante tutte le difficoltà abbiamo scelto di partire e di dare la nostra vita a questo popolo martoriato dal terremoto e dalla miseria».

Qui, gli uomini e le donne della Missione Belem lavorano per salvare il popolo che abita una favela sorta sopra una discarica di spazzatura, dove i bambini muoiono a migliaia per le infezioni. Ci racconta il regista Fernando Muraca: «Dopo soli 5 anni, sono riusciti a costruire, strappando un pezzo di spazio all’oceano, con milioni di tonnellate di macerie del terremoto, le scuole di ogni ordine e grado. Ora, devono riuscire nell’impresa di prendere al mare ancora un pezzo per edificare un ospedale. Marta Carino, Luca Bonaventura ed io andiamo a fare per loro un documentario che possa aiutarli a mettere in piedi una raccolta fondi, perché ci vuole un milione di dollari per fare questo miracolo».

I tre registi, giorno per giorno, momento per momento, racconteranno anche la loro esperienza via Instagram, per diventare “virali” e far partecipare più persone possibili a questa storia di resurrezione. «Se vi state chiedendo perché lo facciamo – spiega Muraca –, è presto detto. Noi tre abbiamo età, provenienza ed esperienze diverse, ma quello che ci accomuna è la passione per la regia e il desiderio di raccontare i più dimenticati, quelli ai confini del mondo, che non vede e non sente nessuno. Noi vogliamo raccontare il loro grido di dolore che va oltre ogni barriera umana. Nessuno vuole vedere questo orrore. Noi sì, e lo metteremo in mostra nel film documentario: “Perché ti ho visto”».

 

Se volete seguire le loro avventure, e il proseguo di questa storia su Instagram, basta cliccare su: Perché ti ho visto.

 

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