Ad Ankara ha prevalso la vendetta
Una vendetta per Aleppo. Così il finto poliziotto turco che ha ucciso ad Ankara l’ambasciatore russo ha definito il suo atto omicida. «Noi moriamo ad Aleppo, tu muori qui», la frase gridata davanti alla gente presente, ignara che a quella mostra fotografica che era andata a visitare avrebbe visto invece andare in scena l’orrore in diretta.
Una «provocazione» mirata a minare i rapporti fra Russia e Turchia, è stato definito l’assassinio dal presidente russo Vladimir Putin, mentre il suo omologo Erdogan, condannando il «vile attacco terroristico», ha elogiato l’operato dell’ambasciatore ucciso, Karlov, «diplomatico eccezionale che ha lavorato in un periodo difficile in Turchia e si è guadagnato la stima di tutto lo stato per le sue capacità personali e professionali».
Non passa molto tempo e un’altra terribile notizia raggiunge le nostre case: quella del camion che si schianta contro la folla di un mercatino di Natale di Berlino.
Notizie che fanno sempre male, quelle di questo tipo, e tanto più in prossimità del Natale, la festa del Dio venuto in Terra per farsi uno di noi e per farci più simili a Lui, per portarci la legge del Cielo che è legge di amore, di condivisione, di pace.
Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace del prossimo 1 gennaio che ha per titolo “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”, ha invitato ad impegnarsi «con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune».
Niente a che fare con la vendetta, con la violenza che seminano morte e generano spirali di odio, paura, insicurezza. C’è da fare per tutti, a livello personale e sociale, nelle relazioni fra i popoli e nell’azione dei governi.
Nel contempo un’altra notizia ci fa riflettere e chiama in causa il mondo della comunicazione: alcuni familiari delle vittime dell’attentato al gay club di Orlando in Florida dello scorso 12 giugno hanno citato in giudizio Twitter, Google e Facebook perché avrebbero fornito supporto materiale all’Isis con «account usati per diffondere la propaganda estremista, raccogliere fondi e attrarre nuove reclute». Nella citazione si legge anche: «Senza Twitter, Facebook e Google (YouTube), la crescita esplosiva dell’Isis degli ultimi anni nel gruppo terroristico più temuto al mondo non sarebbe stata possibile».
La pace o la guerra, la riconciliazione o la vendetta oggi passano anche per i social media. Teniamolo presente anche nei nostri whatsapp quotidiani.