Ad Ajello il tempo è maestro
Il mare, il bosco, il centro storico sono le tre risorse che rendono gradevole il soggiorno ad Ajello Calabro, centro di antichissimo insediamento.
Il mare, il bosco, il centro storico. Il primo è il Tirreno: a chi lo scorge dall’alto scintillante come piombo fuso sembra lontano, ma è raggiungibile in circa dieci minuti d’auto. Poi, anch’essa distante solo un quarto d’ora, la selva rigogliosa con la valle del fiume Oliva. E infine, arroccato su un’alta rupe a poco più di 500 metri d’altitudine, il nucleo antico, oggetto di una intelligente opera di ricostruzione e riqualificazione. Sono le tre risorse che rendono gradevole il soggiorno ad Ajello Calabro, centro di antichissimo insediamento, che nelle sue pietre e tradizioni popolari, sia civili che religiose, reca l’impronta di tanta storia trascorsa, non di rado turbolenta. Oggi invece è quieta e rilassante cittadina che non raggiunge i tremila abitanti. Questo piccolo gioiello del Cosentino culmina nei resti del Castello – una delle più munite fortificazioni del Sud Italia, risalente all’epoca dei normanni, intorno al Mille – e va assaporato nel reticolo silenzioso delle vie lastricate in pietra locale, negli antichi edifici senza preziosismi, che pur nella varietà delle epoche mostrano un’unità di stile fatto di armonia e dignità. Non pochi gli stemmati palazzi patrizi, tra cui spicca quello bellissimo dei Cybo-Malaspina (XVI secolo), a dimostrazione di una preferenza per questo sito fin dall’epoca della dominazione normanna, poi angioina, aragonese, francese… Sito la cui importanza era testimoniata, un tempo, anche dal numero di chiese piuttosto cospicuo rispetto a un centro così piccolo, e dalla nutrita presenza di notai fin dal 1300.
Nel corso dei secoli, più volte i terremoti funestarono questa cittadina, insieme ad altre zone della Calabria. Mantengono viva la memoria di quello del 1905, che provocò 22 vittime, le baracche costruite dai milanesi nella parte bassa dell’abitato per i superstiti senza tetto. Di recente restaurate e tuttora abitate dai loro discendenti, dicono, al di là di ogni tragedia, una speranza di rinascita, così come sembra sentenziare questo antico proverbio inciso su una lapide della collezione Longo: «Lu tempu è mastru, e tu speri ca vidi» (Il tempo è maestro, spera e vedrai).