Finalmente le istituzioni hanno adottato una serie di misure volte a rendere nuovamente potabile l’acqua dei rubinetti
Dopo tre mesi di guerra a colpi di analisi batteriologiche e carte bollate, e novanta giorni di privazioni e sacrifici per decine di migliaia di cittadini, impossibilitati ad utilizzare l’acqua corrente per «fini umani ed alimentari» perché non potabile, finalmente a Vibo Valentia qualcosa sta per cambiare. Per arrivare (forse) ad una svolta c’è voluta una massiccia campagna stampa e la viva indignazione dei cittadini: a Serra San Bruno sono scesi in piazza per protestare contro istituzioni giudicate inefficienti, mentre nella cittadina vibonese un gruppo di professionisti del settore sanitario ha scritto lettere di denuncia al sindaco Nicola D’Agostino e al prefetto Luisa Latella, chiedendo chiarezza e di restituire alla popolazione l’acqua potabile, girandole poi alla stampa dopo aver atteso invano una risposta.
Facendo da mediatore, dopo tante sollecitazioni popolari, nei giorni scorsi il prefetto ha riunito intorno ad un tavolo tutti i rappresentanti delle istituzioni coinvolte, arrivando finalmente ad un punto fermo. Se l’acqua viene ritenuta da qualcuno non potabile (i risultati dei vari prelievi sono contraddittori e le modalità con cui sono stati effettuati controverse) perché all’interno del serbatoio dell’acquedotto di via Tiro a segno sono stati individuati dei batteri pericolosi per la salute, allora verrà realizzato un allacciamento esterno, che consentirà di ovviare al problema, mentre la Sorical, la società mista che gestisce la rete idrica diretta da Sergio De Marco, provvederà ad una radicale manutenzione del sito incriminato. Entro l’11 aprile, il sindaco D’Agostino dovrà nuovamente pronunciarsi e decidere se revocare l’ordinanza del 4 gennaio scorso che vieta l’utilizzo dell’acqua o se prorogarla.
Nel frattempo, restano molti interrogativi. Un gruppo di venti persone tra operatori sanitari, malati ed impiegati pubblici ci ha scritto sottolineandone alcuni. «Perché – ci dice una loro portavoce – si è dovuto attendere l’intervento del prefetto per giungere a conclusioni che altro non sono che l’applicazione delle norme previste dalla legislazione sanitaria vigente? Perché non sono state prese in considerazione le analisi effettuate in entrata ed in uscita dal serbatoio stesso (dai prelievi l’acqua risulta potabile)? Perché l’amministrazione competente non ha reso noti i risultati delle analisi? Forse un’assunzione di responsabilità più tempestiva e la corretta attribuzione delle rispettive competenze avrebbe accelerato la soluzione di un grave problema per il quale un’intera cittadinanza, oltremodo vessata da tali inefficienze, spera in una prossima e definitiva soluzione».
Nella missiva inviata al sindaco e al prefetto e nell’assenza di una esauriente e corretta informazione istituzionale, i cittadini chiedono controlli accurati sull’utilizzo dell’acqua corrente da parte di tutte quelle strutture che svolgono attività «dirette ed indirette di produzione e distribuzione di alimenti quali bar, ristoranti, ma soprattutto panifici, mense scolastiche e strutture ospedaliere».
Non mancano dubbi sulla reale qualità dell’acqua, visto che dai prelievi di un tecnico della procura è emersa la presenza di batteri, mentre da quelle effettuate dall’Istituto superiore di Sanità e dall’acquedotto sarebbe tutto in regola. Ci sono inoltre perplessità sulla corretta esecuzione dei prelievi e si critica la mancata pubblicazione dei risultati di alcune analisi eseguite dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente della Calabria.
Infine, critiche sono rivolte anche al modo in cui l’amministrazione comunale ha sopperito al disagio della gente.«Nessuno – afferma un medico di Vibo Valentia – ci ha detto da dove viene l’acqua che stanno distribuendo con le autobotti. Io stesso, utilizzandone una tanica, ho notato che sul fondo si era depositata della sabbia. Possiamo davvero bere senza timori l’acqua che trasportano?».
In base agli accordi sottoscritti nel corso della riunione che si è svolta qualche giorno fa, comunque, finalmente sono state definite le modalità di esecuzione delle analisi: verranno ritenute valide solo quelle eseguite dall’Azienda sanitaria provinciale ed effettuate nei laboratori dall’Arpacal. Sono esclusi i contributi di consulenti e periti di parte. Quanto è accaduto, ci spiega una residente, «fa riflettere sul ruolo della politica e della pubblica amministrazione, che ingabbiate dalla logica delle "appartenenze", non riescono più a guardare ai bisogni reali della gente. Forse è davvero arrivato il momento di suscitare l’impegno dei cittadini, affinché insieme ed attivamente possano diventare un interlocutore valido ed esigente (se liberi dai clientelismi) di amministratori e politici, proiettandosi all’edificazione di una "politica" autentica, perché veramente al servizio della gente».