Accordo sui riti siro-malabaresi del sud India
Si tratta di un contenzioso esploso – almeno nella sua manifestazione più recente – qualche anno fa, quando il Sacro Sinodo che presiede la Chiesa siro-malabarese, di rito orientale, aveva approvato una nuova rubrica liturgica che prevedeva che il celebrante si rivolgesse verso l’altare durante la preghiera eucaristica che precede e segue immediatamente la consacrazione. La decisione era stata accettata in tutte le 35 diocesi che seguono questo rito, la stragrande maggioranza delle quali si trova in Kerala, lo stato sud-occidentale dell’India, dove la tradizione vuole sia approdato san Tommaso apostolo nei primi anni dell’era cristiana.
La questione, oggi, sembrerebbe del tutto secondaria, soprattutto alla luce del processo di secolarizzazione che investe la fede cristiana – anche in India senza eccezione fatta, sia pure in tono minore, per le Chiese orientali. Tuttavia, la questione dei riti rappresenta fin dal XVI secolo, al tempo del colonialismo portoghese e della relativa tentata latinizzazione coatta della presenza orientale in India, una questione cruciale di identità religiosa e sociale. Infatti, i cristiani cosiddetti “di san Tommaso” che seguivano la tradizione orientale, a contatto con il mondo latino e la colonizzazione occidentale, reagirono anche violentemente, sentendosi usurpati della propria identità e fede, da secoli incentrata sui riti liturgici provenienti dal Medio Oriente.
Nei secoli successivi si sono formate diverse Chiese, due delle quali sono da tempo – più o meno lungo – in comunione con Roma. La prima è la Chiesa siro-malabarese che ha il suo Arcivescovo Maggiore nella sede di Ernakulam, città del centro del Kerala, che, con la vicina Kochi, ha formato negli ultimi decenni un ricco centro nevralgico dello stato del sud India, carico di storia e con una forte connotazione cattolico-orientale. La seconda è la Chiesa siro-malankarese, il cui centro è Trivandrum, capitale del medesimo stato alla punta estrema della penisola del sub-continente. Quest’ultima nasce, nel 1933, con la decisione del vescovo Mar Ivanos e di un piccolo gruppo di suoi seguaci di tornare alla piena comunione con Roma. È una comunità ecclesiale che ha conosciuto un grande sviluppo negli ultimi decenni. Ha oggi un cardinale – come del resto anche quella siro-malabarese – e un crescente numero di diocesi, anche se resta ben più limitata del gruppo siro-malabarese. Anche la distinzione fra queste due Chiese orientali in comunione con la sede di Pietro è dovuta al rito che esse seguono. Più latinizzato quello dei siro-malabari e ancora molto tradizionale quello dei siro-malankari, che seguono a tutt’oggi quello delle altre Chiese cosiddette siro-ortodosse, che tradizionalmente facevano capo ad Antiochia.
Nel corso degli oltre tre secoli da quando si è costituita, la Chiesa siro-malabarese ha vissuto diverse fasi e quella che ha attraversato gli ultimi due decenni è stata senza dubbio una delle più complesse e dolorose. Dopo le varie riforme seguite al Concilio Vaticano II che avevano portato a modifiche liturgiche anche all’interno di questa comunità, sono emerse tensioni non indifferenti sia per la nuova formula liturgica della celebrazione eucaristica che per la costante migrazione di fedeli in altre parti dell’India e all’estero. Si sono, infatti, formate eparchie (diocesi) anche in Nord America, in Australia e nel Golfo Persico. Da più parti, si è temuto che questi due processi, uno endogeno e l’altro sociale con sollecitazioni esterne, snaturassero la radice orientale della Chiesa con grave danno alla sua identità e a quella dei suoi fedeli. È dunque cominciato un lungo contenzioso che si è polarizzato attorno a due arcidiocesi e ai rispettivi vescovi: quella di Ernakulam, più aperta al cambiamento conciliare, e quella di Palai, più orientata al ritorno all’osservanza della tradizione.
Nel 1999 il Sacro Sinodo siro-malabarese aveva già deciso l’introduzione di alcune misure per assicurare un ritorno della liturgia a modalità più vicine alla tradizione originaria. Le modifiche, accettate e adottate da altre diocesi, hanno incontrato, invece, una forte reazione da parte del clero e di molti laici di Ernakulam, che si sono rifiutati di implementare le decisioni anche quando sono state definite esecutive. A partire dal 2021 il contenzioso si è inasprito con scioperi della fame da parte sia del clero che dei laici, occupazione della St. Mary’s Syro-Malabar Cathedral Basilica, nel cuore di Ernakulam. Sono piovute denunce, scontri e non poche volte le forze dell’ordine sono dovute intervenire per sedare le tensioni e gli scontri. Anche la Santa Sede ha cercato di intervenire con un inviato ad hoc, che ha purtroppo fallito nel suo tentativo di pacificazione, probabilmente per una non adeguata conoscenza sia delle implicazioni della questione, assai complessa, sia per le modalità con cui affrontarla.
Nei mesi scorsi, l’elezione da parte del Sacro Sinodo di un nuovo Arcivescovo Maggiore approvato da papa Francesco, e alcuni interventi forti proprio del pontefice che aveva paventato il pericolo di uno scisma se la questione permaneva, hanno contribuito alla soluzione – almeno per ora – della questione. Il clero di Ernakulam ha accettato dal 3 luglio scorso, festa di San Tommaso apostolo, di celebrare l’Eucarestia secondo quanto indicato dal Sacro Sinodo. Resta ancora da appurare se tutte le chiese dell’arcidiocesi accetteranno l’accordo. La questione, durata anni, ma inaspritasi a partire dal 2021 quando le autorità siro-malabaresi avevano definito “illecito” il rito precedente, è stata – e probabilmente continuerà ad essere per un certo tempo – una dolorosa ferita per questa comunità di cristiani cattolici che numericamente rappresentano il secondo gruppo di rito orientale all’interno della Chiesa cattolica, dopo la Chiesa ucraina.
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