Accordo per gli aiuti alla Grecia
Primo passo dell’Eurogruppo verso una concreta solidarietà europea. Il commento di Benedetto Gui, docente di economia.
Era uno dei vertici più attesi: l’incontro tra i leader europei del 21 luglio, per decidere sul pacchetto di aiuti alla Grecia, ha tenuto con il fiato sospeso le borse europee e non solo. Le conseguenze di un default greco – ossia di un mancato pagamento dei debiti contratti – sarebbero infatti potenzialmente molto pesanti non solo per Atene, ma per l’intero continente. Abbiamo chiesto al prof. Benedetto Gui, ordinario di economia all’Università di Padova, di chiarirci i punti fondamentali dell’accordo raggiunto a Bruxelles.
C’era grande attesa per un possibile varo degli Eurobond: come funzionano esattamente?
«Se un Paese, come può essere la Grecia o l’Italia, ha necessità di indebitarsi sui mercati ma è considerato poco affidabile, i finanziatori richiedono tassi molto alti. Se invece lo fa un’istituzione europea, e usa quei soldi per finanziare lo Stato in questione, questi tassi sono notevolmente più bassi. Si tratta in sostanza di una forma di garanzia collettiva, perché il debito possa essere sopportato meglio».
Perché non si è deciso di procedere in questo senso, se – come hanno fatto notare diversi commentatori – anche gli Stati più intransigenti, come la Germania, hanno dovuto alla fine riconoscere che agire insieme è un vantaggio per tutti?
«C’è la difficoltà da parte dei governi dei Paesi più “virtuosi” di spiegare alla propria opinione pubblica perché sia necessario assumersi responsabilità reciproche sempre maggiori, anche se altri Stati hanno fatto le cicale. Sul piano monetario l’Europa ha fatto un grande passo avanti con l’istituzione della moneta unica, ma su quello fiscale e della copertura delle spese non abbiamo ancora un sistema comune, a differenza ad esempio degli Stati Uniti».
La grande novità di questo vertice è il rafforzamento del Fondo di stabilità (Efsf), che vede notevolmente ampliato il suo campo d’azione.
«Di fatto è un gradino verso questa sorta di solidarietà comunitaria, perché il Fondo è costituito dai versamenti di tutti i Paesi dell’area Euro. Sulle forme tecniche in cui questo sostegno si concretizza si può discutere, ma la sostanza è che tutti vi partecipano. Si tratta del primo passo importante verso l’istituzione di un’istituzione comune europea per sostenere le finanze dei singoli Paesi».
Esiste il rischio di inviare il messaggio sbagliato che un Paese può contare sul fatto che saranno gli altri a pagare i suoi debiti?
«Il rischio c’è, e voglio sperare che la Grecia e gli altri Paesi “traballanti” facciano la loro parte con serietà. Tuttavia questi interventi non significano che i debiti della Grecia sono stati cancellati, ma che le si fa credito a condizioni più vantaggiose. Nella consapevolezza che non è detto che questa sia in grado di restituire il denaro.».
Altro punto chiave è la partecipazione dei privati al salvataggio: significa che anche i cittadini pagheranno direttamente?
«No, in questo caso a pagare saranno le banche, che agiranno come fanno normalmente con un debitore insolvente, ossia con una sorta di concordato. L’intervento pubblico invece ricade sui cittadini. In linea di principio non è da escludere che il salvataggio possa alla fine rivelarsi un buon affare: se il fondo compra oggi sul mercato titoli greci a prezzi stracciati e poi le finanze greche tornano in ordine, quei titoli aumenterebbero di valore. Ma, realisticamente parlando, l’intervento qualcosa costerà».
Le borse hanno reagito con notevole ottimismo: è giustificato?
«Il mercato si muove sempre in modo brusco, perché una buona notizia apre la possibilità di speculazioni a rialzo. Ma certamente l’attenuarsi del timore di un tracollo finanziario certamente giustifica una valutazione migliore».