Accordo fra Santa Sede e Repubblica del Vietnam
La notizia era attesa da alcuni giorni. Si sapeva, infatti, che gli ultimi contatti avuti dai rappresentanti del governo di Hanoi e quelli della Santa Sede erano stati proficui e, quindi, con tutta probabilità ci sarebbe stato qualche passo avanti rispetto all’accordo non scritto intercorso alcuni anni fa, che comunque, ha retto bene permettendo una crescita incoraggiante nella fiducia reciproca fra le due parti. Alla fine, la settimana scorsa, ad annunciare ufficialmente le novità attese è stato il comunicato congiunto diffuso il 27 luglio dalla Santa Sede al termine della visita in Vaticano del presidente del Vietnam, Vo Van Thuong, che ha incontrato papa Francesco e il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin.
L’aspetto nuovo dei rapporti recenti è che il governo vietnamita e la Santa Sede si sono accordati sulla presenza ad Hanoi di un ‘rappresentante pontificio residente’. La definizione è molto larga per il lessico diplomatico, ma chi la diplomazia la fa o la vive, capisce che il passo è più che significativo. Non è il momento ancora di rapporti diplomatici ufficiali, con lettere credenziali da presentare al presidente ad Hanoi e al papa in Vaticano, ma l’apertura permette una presenza della Chiesa cattolica in terra vietnamita, dove un delegato apostolico aveva esercitato le sue mansioni di rappresentanza fino al 1955 ad Hanoi e, successivamente, a Saigon fino al 1975. I Vietcong entrarono a Saigon, ribattezzata Ho Chi Min City e il sud del Paese venne unito al nord, con la capitale che tornava ad Hanoi. Da allora non c’è più stata una presenza vaticana in Vietnam. Con il passare degli anni, la Santa Sede ha cercato ogni via per ristabilire i rapporti con il Paese asiatico dove il cristianesimo è forte, ben radicato ed ha dato prova di resistere agli anni duri della persecuzione religiosa. Il primo viaggio ufficiale dopo la rottura dei rapporti diplomatici fu, nel 1989, quello del cardinale Roger Etchegaray, allora presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Fu il punto di partenza di una prassi che continuò negli anni con la visita annuale di una delegazione vaticana, che riprese i contatti col governo e anche con alcune comunità cattoliche sul territorio. Nel 1996, si diede inizio a dei colloqui più specifici per accordarsi sulle modalità di nomina dei vescovi, una questione spinosa per tutti i Paesi con un regime comunista. La prima visita ufficiale in Vaticano da parte di un presidente vietnamita fu quella di Nguyen Minh Triet, che nel 2009 arrivò a Roma per incontrare Benedetto XVI. Infine, nel 2011, un altro passo importante: la nomina di un Rappresentante Pontificio non residente con base a Singapore. Ora questo rappresentante potrà soggiornare a Hanoi. Annunciando la svolta, il Segretario di Stato Vaticano, il card. Parolin, ha sottolineato come il nuovo accordo non sia solo un ‘traguardo’, ma segni un ‘nuovo inizio’ e rappresenti una prova del «reciproco rispetto e della reciproca fiducia» fra la Santa Sede e la Repubblica Socialista del Vietnam.
Inoltre, è importante guardare oltre il Vietnam. Negli ultimi anni, infatti, la politica dei piccoli passi intessuta fra Santa Sede e il governo di Hanoi è stata, in un certo senso, anche di modello per arrivare all’accordo provvisorio firmato dal Vaticano con la Repubblica popolare cinese. E il card. Parolin rispondendo ad una intervista sulla recente vicenda della nomina unilaterale del nuovo vescovo di Shanghai da parte del governo cinese, successivamente ufficializzata anche da Papa Francesco, ha ventilato la proposta di un futuro rappresentante della Santa Sede a Pechino. Altro elemento che non deve sfuggire è una frase del comunicato congiunto che, fra gli impegni del nuovo rappresentante, ha inserito quello di sostenere la «comunità cattolica vietnamita nei suoi impegni nello spirito della legge e, sempre ispirandosi al magistero della Chiesa, adempierà alla vocazione di ‘accompagnare la nazione’ e di essere ‘buoni cattolici e buoni cittadini’». Si tratta di un elemento cruciale anche per il governo cinese che già Benedetto XVI aveva inserito nella famosa lettera del 2007 con la quale si era rivolto ai fedeli cattolici della grande Cina chiarendo che la Chiesa cattolica insegna ai fedeli a essere buoni cittadini nei rispettivi Paesi, chiedendo, tuttavia, che le autorità locali non ostacolino materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa.