Accordi e disaccordi sul lavoro
Nonostante l’intesa unitaria sulle relazioni sindacali del 28 giugno, la Fiat medita di lasciare Confindustria, mentre nella Cgil si registrano forti dissensi
Neanche dopo due giorni dalla sigla dell’accordo Confindustria-sindacati del 28 giugno è arrivata la doccia fredda della lettera spedita da Torino, in cui la Fiat non considera il testo un risultato sufficiente ad evitare l’uscita della multinazionale, ormai italoamericana, dall’associazione degli imprenditori italiani. Qualcosa di inconcepibile solo qualche anno addietro. Nuove sono anche le marce silenziose degli imprenditori a Treviso e a Genova, a mostrare un disagio che ormai le assemblee istituzionali e la stessa rappresentanza sindacale non riescono ad esprimere.
Le vertenze e gli imprenditori Secondo il giuslavorista Pietro Ichino, che da tempo spinge verso nuove modalità delle relazioni sindacali, «la Fiat probabilmente alla fine dell’anno uscirà dal nostro sistema confederale delle relazioni industriali per dar vita a un suo sistema di gruppo, del resto il pluralismo sindacale non è garantito dalla Costituzione soltanto ai lavoratori, ma anche agli imprenditori».
L’accordo del 28 giugno che ha riunito nuovamente Cgil, Cisl e Uil viene incontro alle richieste di Marchionne, sulle deroghe ai contratti nazionali, ma non può estendersi ai fatti già accaduti negli altri stabilimenti del gruppo su cui pendono diverse vertenze per le modalità con cui sono stati gestiti i referendum che avrebbero deciso sulla sopravvivenza dell’azienda e sul futuro lavorativo degli operai. La Fiom, poi, ha spostato in sede giudiziaria la contestazione, pur in minoranza rispetto agli altri sindacati che si sono dissociati. Sarà decisivo l’esito di tali ricorsi. Alcune sentenze dovrebbero arrivare entro luglio.
Una riforma del sindacato Ora si dice in gergo che occorre tradurre il diritto sindacale in inglese, cioè in maniera tale che sia comprensibile da chi potrebbe essere interessato ad investire in Italia. In effetti, le materie di garanzia dei lavoratori e di rappresentanza sindacale sono al centro di varie e contrastanti proposte di riforma, mentre, nel frattempo, la situazione generale è andata evolvendo come descritto dalla recentissima indagine dell’istituto Swg sulla condizione operaia in generale. «Mentre la maggioranza dichiara che le aziende hanno risposto bene alle difficoltà sorte con la crisi – riporta la ricerca –, solo un terzo valuta positivamente quanto hanno fatto i sindacati».
Non bisogna poi trascurare il fatto che per interi settori e realtà aziendali non esista alcuna rappresentanza dei lavoratori (un fattore in crescita), mentre in quello metalmeccanico queste rappresentanze permangono in maniera molto pronunciata e visibile. Forte di questa base la Fiom ha immediatamente denunciato l’accordo siglato anche dalla Camusso, segretario generale della Cgil, definendolo un «suicidio». L’accordo stesso sarà oggetto di una consultazione tra tutti gli iscritti alla Cgil che si completerà entro il 17 settembre.
Approvazioni e dissensi Le critiche principali riguardano particolarmente le deroghe, anche se non definite tali, al contratto nazionale di contratti aziendali che siano finalizzati a gestire una situazione di crisi o in presenza di significativi investimenti per aumentare la produttività e l’occupazione dell’impresa. Le deroghe potranno riguardare – secondo l’accordo interconfederale – «la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro, rimanendo escluso l’aspetto retributivo». L’altro nodo della vicenda è la ratifica degli accordi lavorativi senza il referendum dei dipendenti, con il risvolto che tali intese diventano vincolanti quando vengono siglate dalla maggioranza dei rappresentanti dei lavoratori in azienda.
Per Ichino è la fine della fase transitoria del diritto sindacale che dura dalla fine del regime corporativo del 1944: «Se l’accordo fosse stato in vigore un anno fa, non si sarebbero posti i problemi giuridici che sono invece sorti in riferimento ai contratti Fiat di Mirafiori, Pomigliano e Grugliasco».
Il caso Pomigliano Aperto dissenso è stato manifestato dall’ex segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati, che invita a considerare la questione tale «da non poter essere confinata in un’ordinaria vicenda sindacale» perché intacca la democrazia. Il caso Pomigliano in questo senso potrebbe costituire un esempio da studiare. La nuova società che si verrebbe a costituire se non fosse altro che la vecchia Fiat con un nuovo nome, dovrebbe mantenere tutti i diritti acquisiti dai lavoratori, ma se la nuova azienda che nasce è totalmente altra, questa si riserverà di cambiare il contratto e le regole interne decidendo persino quali ex dipendenti assumere. E questo in deroga al contratto.
Un progetto Nel mezzo di un conflitto assai duro ma dall’esito che appare segnato, una diversa chiave di lettura prova ad offrirla il gruppo di lavoro “Sindacalmente”, uno dei pochi spazi di confronto aperto promosso da un gruppo di sindacalisti torinesi di area Cisl e Cgil «che hanno l’obiettivo primario di essere utili alla ripresa dell’unità d’azione tra i sindacati». Secondo Adriano Serafino, esponente di questo laboratorio di unità nato dall’«interagire delle differenze», l’accordo unitario con la Confindustria va letto integralmente perché è completato da un patto, in due soli punti, tra le tre confederazioni che si impegnano ad adottare percorsi democratici interni al sindacato «per la costruzione delle piattaforme e per l’approvazione delle ipotesi di accordo».
Inoltre se sono previste «deroghe possibili al contratto nazionale, in determinate situazioni, queste sono ben diverse da quanto concesso alla Fiat». Nelle premesse, continua a far notare, ci sono dei rimandi espliciti alla finalità della contrattazione nell’«esaltare la centralità del valore del lavoro» che non può non fornire un criterio interpretativo dell’accordo stesso. Soprattutto, si può aggiungere, quando sarà da definire la priorità tra produttività, occupazione e diritti. Intanto si attende la concretizzazione di quanto siglato.