Accoglienza, una questione civile
Scelte politiche e diritti umani
Legalità, sicurezza, ordine pubblico sono le parole chiave con cui il governo (vedi box p. 20) ci induce a ritenere che l’attuale politica immigratoria, fatta di chiusura quasi totale agli arrivi dei profughi che attraversano il Mediterraneo, sia la conseguenza naturale e inevitabile di quanto accaduto negli ultimi anni su questo fronte.
Gli attentati dei terroristi dell’Isis e le presunte collusioni tra scafisti e Ong che soccorrono i profughi in mare hanno convinto gli italiani ad apprezzare il decisionismo del ministro Minniti senza interrogarsi sul prezzo che questo comporta per il nostro Paese.
Ma non è solo questione di soldi. È che l’Italia pur di vedere chiuso il rubinetto degli sbarchi, facendone una questione di principio più che una resa per incapacità, ha preso molti impegni con i responsabili politici di Stati africani e nord africani, mettendo da parte le analisi necessarie verso regimi dittatoriali coinvolti con violenze, corruzione e violazioni dei diritti umani fondamentali.
I Paesi africani hanno oltretutto in mano strumenti di pressione nei nostri confronti molto consistenti (migliaia di persone imprigionate da caricare sui gommoni, petrolio, metano, minerali) e noi non abbiamo praticamente nulla, se non pochi soldi e un po’ di tecnologie.
Sembra che sullo scenario internazionale abbiamo perso la voce per rivendicare solidarietà e pietà, per affermare la nostra capacità di progettare crescita e sviluppo anche con gli immigrati, per raccontare la nostra lunga storia di emigrazione passata e presente.
Ma se il governo ha fatto certe scelte di chiusura, c’è un pezzo d’Italia che percorre altre strade. È il caso di alcune famiglie che aprono le porte delle proprie case per ospitare ragazzi sbarcati in Sicilia, contribuendo nel loro piccolo a costruire una società più sicura e aperta per tutti.
Flavia Cerino
Quei minori (felicemente) accompagnati
Guardare insieme un film, preparare una torta, fare una passeggiata, fare tardi la sera chiacchierando su una terrazza. Le vacanze sono fatte di piccoli momenti come questi. Quindici famiglie lombarde hanno scelto di condividerle anche con alcuni ragazzi richiedenti asilo in Italia senza famiglia, aderendo alla proposta di “Fare sistema oltre l’accoglienza”. Paura e diffidenza – che talvolta possono fare nascere domande pratiche – si sono dissolte all’arrivo dei giovani ospiti. Il primo di 18 anni… l’ultimo di appena 12!
«È un’emozione grandissima il momento dell’arrivo. I ragazzi si mettono subito in gioco, aiutano in casa (per esempio, stirando perfettamente le camicie!), si dedicano ai più piccoli». Bastano poche ore per allargare il cuore e aprirlo a sentimenti nuovi.
«Non si può raccontare, si può solo vivere. I nostri figli si sono adattati subito ai nuovi ospiti, come se la loro presenza fosse la cosa più naturale del mondo», ci raccontano.
Le loro storie hanno poco a che fare con l’immaginario mediatico che ha dominato le scene durante questa triste estate italiana. Raccontano di ragazzi educati, disponibili, con storie pesanti alle spalle e una grande voglia di riscatto. Ragazzi che sanno giocare, ridere, trovare le parole per raccontare il male subito, quando qualcuno è disposto ad ascoltarli. Naturalmente il legame che si crea con le famiglie va oltre il breve soggiorno estivo. Per qualcuno resta un rapporto intenso e continuo a distanza (Whatsapp aiuta), quando i ragazzi tornano nelle loro comunità in Sicilia, per qualcuno si è già profilato un ritorno in famiglia in Lombardia a tempo indeterminato, con l’inizio di un tirocinio o di un vero e proprio lavoro.
L’ospitalità è contagiosa ed è alla portata di tutti: può diventare uno stile di vita e una cultura. Per questo su queste pagine vogliamo continuare a raccontare il volto umano e fraterno di questa accoglienza “all’italiana”, dove si impara a fare casa e fare famiglia. Pensiamo sia l’unica via percorribile.
Anna Granata
Leggi e accordi per frenare i flussi migratori
A maggio del 2105 l’Unione europea ha varato l’Agenda europea per l’immigrazione presentando la linea politica per governare i consistenti flussi migratori irregolari provenienti da Medio Oriente e Africa. A ottobre dello stesso anno, il ministero dell’Interno ha emanato un proprio documento, la Road map italiana, scrivendo il percorso specifico che l’Italia avrebbe intrapreso. Negli ultimi due anni alcuni Stati europei hanno chiuso i loro confini, l’Ue ha finanziato la Turchia per bloccare i profughi diretti in Europa, l’Italia ha avviato – e in alcuni casi concluso – trattative con alcuni Paesi africani e Nord africani (senza il consenso del nostro Parlamento), ha avviato trattative con governanti e sindaci in Libia per trattenere su quel territorio i profughi (esponendo al rischio di protrarre atroci violenze e torture verso donne, uomini, ragazzi e bambini reclusi nelle loro carceri) e ridurre i proficui traffici degli scafisti.
In cambio l’Italia si è impegnata a formare le locali forze di polizia, fornire strumenti di intelligence, personale impegnato nella riparazione e manutenzione di mezzi e imbarcazioni, soldi e investimenti di vario genere. Verso alcuni di questi Paesi (l’Egitto, per esempio) è aumentata la vendita di armi italiane.
Ad agosto il ministero dell’Interno ha anche elaborato un codice di comportamento a cui sottomettere le organizzazioni non governative dedite al salvataggio dei profughi nel Mediterraneo e nel vertice di Parigi del 28 agosto (tra capi di Stato europei e africani) si sono definite le modalità di avvio di nuovi campi profughi in Libia e in Niger. Invece nulla è stato fatto per incrementare gli ingressi regolari dei profughi attraverso i corridoi umanitari, a cui si accede solo grazie all’iniziativa privata di alcune associazioni.
Fare sistema oltre l’accoglienza
È il progetto promosso da Associazione Azione per un Mondo Unito onlus, Azione per Famiglie Nuove onlus, Coop. Formazione e Comunione, che ha coinvolto finora circa 60 ragazzi e ragazze, minorenni o neomaggiorenni, provenienti da Bangladesh, Gambia, Guinea Conakry, Nigeria, Mali, Egitto, Senegal. La sua mission: aiutare questi ragazzi a realizzare il proprio percorso di vita. Famiglia e lavoro sono le due parole-chiave di questa esperienza: un breve o prolungato soggiorno in famiglia per creare un legame con delle figure adulte di riferimento e la formazione allo studio e al lavoro, per apprendere un mestiere. www.faresistemaoltrelaccoglienza.it